Venerdì 20 Dicembre 2024

Evasione e privilegi, i mali che affliggono il Paese

Si cammina sull'orlo del baratro e si moltiplicano i richiami alla solidarietà. Tutti debbono fare la propria parte e i sacrifici debbono essere redistribuiti sulla base della ricchezza di cui ciascuno dispone. È urgente varare un'imposta patrimoniale o, in alternativa, aumentare ancora il cosiddetto contributo di solidarietà. Sono moniti e proposte ricorrenti ma su tutti incombe una domanda: questi richiami hanno un senso e possono essere condivisibili? La risposta è negativa e potrebbe essere positiva soltanto se fossero rispettate alcune condizioni. Prima di descriverle occorre una premessa. C'è chi sostiene che gli italiani siano capaci di pensare soltanto a se stessi e abbiano perso il senso del “noi”. Sarebbero una massa di individui egoisti che non vuole nemmeno pensare ad un futuro comune. Prendiamo atto che tutto ciò è abbastanza vero e che questa è la causa che, sommandosi all'altra, di un ceto politico generalmente spregevole, ci spingerà sempre più in basso nella discesa verso il declino.
Perché siamo arrivati a questo punto? Perché saremmo disposti a cadere nel baratro piuttosto che darci una mano e aiutare l'Italia ad allontanarsi dal precipizio? Le ragioni sono complesse ma due su queste sono veri e propri monumenti a presidio dell'odio sociale. La prima è stata illustrata con grande chiarezza da Galli Della Loggia in un fondo comparso sul “Corriere Della Sera” lo scorso 10 settembre. Gli italiani sono conservatori e immobilisti e se il Paese va a rotoli la colpa non è solo di Berlusconi. Molti italiani detengono privilegi di ogni tipo e ognuno di noi si accorge quanto questo sia vero nella normale vita quotidiana. E si tratta di privilegi grandi e piccoli, difesi ad ogni costo. Si va da un certo deputato Paniz che minaccia di non votare la manovra se si tocca la corporazione degli avvocati, al tassista che vi impone un pedaggio ingiusto secondo una tariffa uguale per tutti approvata dal Comune. I privilegi si traducono in un vantaggio economico per chi li detiene e in un ingiusto depauperamento per chi li subisce. Come si può pensare che l'odio sociale non si diffonda sempre più se non si fa nulla per ridurre la taglia che una parte del Paese impone all'altra?
La seconda è un vero e proprio tumore dal quale l'Italia è afflitta da sempre e si chiama evasione fiscale. C'era durante il fascismo, si è diffusa nel corso del secondo dopoguerra e, nonostante qualche irrilevante contenimento, le statistiche dicono che essa continua a crescere di anno in anno. Proprio come un tumore si adatta all'evoluzione della struttura economica: quanto più quest'ultima diventa articolata e complessa, tanto più l'evasione si affida a meccanismi più furbi e a imbrogli più inestricabili, ubbidendo a quella costante devozione per l'illegalità che contraddistingue tanta parte degli italiani. Si sa che pagano il dovuto soltanto i lavoratori dipendenti e quei pochi lavoratori autonomi che non possono in alcun modo ottenere dei ricavi senza emettere delle fatture. Tutti gli altri, chi più chi meno, evadono e sono felici di farlo sentendosi superiori ai poveracci che pagano.
Dal punto di vista della disgregazione sociale le conseguenze sono terribili. Quando si dice che gli italiani possono vantare una grande ricchezza privata che può compensare l'elevato debito pubblico, non si dice che una gran parte di questa ricchezza è illegale perché trae origine dall'evasione fiscale. Essa non si traduce soltanto, come si vorrebbe far credere, nell'acquisto di ville, barche e automobili di lusso ma rende possibili cose ben più normali che fanno la qualità della vita, come un'università migliore per i propri figli e la costituzione di patrimoni ereditari che consentiranno loro di vivere una vita agiata a scapito di quelli che invece devono conquistarsela. L'evasione ha fatto dell'Italia un Paese nel quale la gerarchia delle classi sociali è profondamente ingiusta e distorta. Chi vive nella legalità deve costantemente soffrire l'intollerabile divario tra la ricchezza legale e quella illegale.
La tragedia ancora più grave sta nel fatto che il successo viene premiato a prescindere da come è stato raggiunto o, come talvolta accade, i servizi del welfare vengono gratuitamente erogati agli evasori a scapito di coloro che invece contribuiscono a coprirne il costo. Queste sono le ragioni per le quali può essere molto pericoloso e controproducente tentare di salvare l'Italia chiedendo un'ulteriore sacrificio a una parte del Paese lasciando che l'altra continui a spassarsela. La si può coinvolgere soltanto facendo in modo che i contribuenti onesti possano essere interessati ad individuare quelli furbi e consentendo loro, di recuperare, con la dichiarazione dei redditi, l'imposta sul patrimonio qualora di pensasse di varare qualcosa del genere. Nel primo caso è necessario che tutti i contribuenti, compresi i lavoratori dipendenti, possano dedurre dall'imponibile i costi delle tante prestazioni di terzi, dagli avvocati ai ristoratori, che oggi vengono saldate senza fattura in quanto non c'è nessun beneficio per chi la richiede. La deducibilità può essere parziale ma deve concretizzarsi in un beneficio effettivo in termini di minori imposte da parte di chi se ne può avvantaggiare.
Si sa che l'Agenzia delle Entrate non vuole che si affermi il principio del conflitto di interessi e vi si oppone con argomenti inaccettabili. In realtà l'Agenzia delle Entrate è una corporazione come un'altra che fonda il proprio potere sulla coazione e sulla paura e non vuole delegare neanche in parte la lotta all'evasione ai contribuenti onesti. I suoi dirigenti pensano che gli italiani siano totalmente inaffidabili e non si rendono conto del fatto che i loro parziali successi si scontrano con le evidenze statistiche che illuminano una costante crescita dell'illegalità fiscale. Nel secondo caso la deducibilità dell'imposta patrimoniale dovrebbe seguire la regola della proporzione inversa tra patrimonio effettivamente accertato e reddito, in modo da colpire davvero chi disponga di un elevato patrimonio a fronte di un reddito dichiarato insufficiente a giustificarne l'ammontare. Due proposte sempre discutibili che, lungi dal favorire una solidarietà improponibile, avrebbero forse il pregio di evitare una comprensibile rivolta fiscale.

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