Un’esplosione nella centrale nucleare di Marcoule nel sud della Francia ha riproposto gli interrogativi sulla sicurezza atomica. Non più dall’altra parte del mondo come a Fukushima. Bensì dietro la porta di casa. L’impianto dista appena 257 chilometri da Torino. Dal confine italo-francese ancora meno. Vuol dire che, se fosse accaduto qualcosa di veramente grave, le possibilità per le popolazioni di Piemonte, Val d’Aosta e Liguria di sfuggire alle contaminazioni sarebbero state molto basse.
Per il momento le autorità francesi tendono a minimizzare. È vero che c’è stato un morto. Tuttavia non sembra che il reattore abbia rilasciato veleni radioattivi nell’aria. Inoltre spiegano che l’impianto è molto vecchio. È nato nel 1956 e fu la prima puntata del romanzo francese nel nucleare. Da quanto si capisce nei suoi reattori ha visto la luce la «force de frappe» tanto cara al generale De Gaulle. Vale a dire che in quel pentolone nucleare è stata forgiata l’atomica francese. Senza che nessuno ne sapesse niente, ovviamente. Certe produzioni non si reclamizzano. Non lo sapevano i francesi. Figuriamoci noi italiani che, tuttavia, da cinquantacinque anni conviviamo con il laboratorio atomico dei nostri vicini.
Un referendum ha bandito l’energia nucleare dal nostro Paese. Per la seconda volta in venticinque anni. Discorso chiuso per sempre. Il risultato è pessimo: non abbiamo i vantaggi dell’energia nucleare ma ci teniamo ben stretti i pericoli.
Se l’incidente a Marcoule fosse stato più grave poteva succedere qualunque cosa. Compreso l’ordine di sgombrare Torino e località circostanti. Una tragedia. Chissà che cosa ne pensano i talebani della guerra all’atomo? E i leader politici che hanno imposto il voto come strumento per indebolire il governo? Forse dovrebbero vergognarsi un po’.
Caricamento commenti
Commenta la notizia