Nella nostra città vive un popolo marginale che non casa e fa della strada il proprio ambiente di vita: sono i "barboni"; forse è più romantico il termine francese "clochard", ma resta la realtà di una categoria sociale composita e difficile da delineare: quella degli invisibili. Sono invisibili ed anche silenziosi, perché è nella loro natura riflettere (vedi foto scattata in Piazza dei Martiri a Catania). Fino a ieri si chiamavano "senza fissa dimora", questo risultava all'anagrafe; oggi, semplicemente "senza dimora" perché il problema non è la stabilità di un domicilio, ma proprio la mancanza di un domicilio. Diventare barbone è un attimo, un inciampo, una fatalità. La loro condizione produce un circolo vizioso. senza numero di telefono, senza indirizzo o un posto per cambiarsi e lavarsi, può essere difficile trovare e conservare un posto di lavoro. Il marchio d'infamia che circonda la condizione dei senza tetto crea uno stereotipo che rende difficile risolvere il problema. Ma perché facciamo sempre più fatica a cogliere i segni del disagio, della disperazione, della cattiveria? Non riusciamo più a vedere o non vogliamo più vedere. A Catania ci sono clandenstini, nomadi ma anche poveri, magari con un lavoro ma con l'impossibilità di una casa. Sì, si può essere poveri pur avendo un lavoro. Nelle piaghe della città si nascondono i vagabondi della cittadinanza. Le comparse della città delle luci, che la sera rientrano nei loro rifugi di fortuna. Vittime della fretta e della nostra indifferenza. Francesco Vitale, Catania