La crisi del debito sovrano, oltre che da manovre speculative, è originata dalla sfiducia degli operatori finanziari nei confronti del nostro Paese. In questo hanno pesato gli eccessi di litigiosità della classe politica che ha ridotto la credibilità del nostro Paese ma anche la sua ritrosia ad approvare quelle riforme strutturali che l'Europa ci chiede e che servono a tenere stabilmente in ordine i conti pubblici. Tra le riforme strutturali ci sono quelle che riguardano un apparato istituzionale pletorico e perciò costoso e inefficiente.
La seconda è che per ridurre i costi della politica non ci sono solamente gli interventi che riguardano le istituzioni centrali, ma anche quelli che riguardano le istituzioni locali come le Province.
Il fatto è che il federalismo italiano è stato caratterizzato dalla moltiplicazione dei livelli territoriali di governo e dei soggetti pubblici. Il federalismo si basa sul dualismo istituzionale Stato-Regioni. In Italia invece abbiamo insieme alle Regioni, le Province e i Comuni, i quali a loro volta hanno partorito altri soggetti, come le innumerevoli società pubbliche, i consorzi, gli Ato, e così via. Più che di federalismo bisognerebbe parlare di un pluralismo istituzionale esasperato. Storicamente esso è servito a creare una miriade di cariche pubbliche con cui si è soddisfatta la fame di rendite politiche di un'estesa classe politica locale. Le conseguenze sono state l'aggravarsi dei costi che gravano sui bilanci pubblici - per cui il federalismo italiano ha accresciuto il livello della spesa pubblica - e la complessità dell'azione amministrativa.
La tante volte lamentata inefficienza amministrativa ha tra le sue cause anche l'eccesso di frammentazione istituzionale che poi si traduce in procedimenti decisionali farraginosi dove occorre trovare l'accordo tra troppi attori istituzionali, dove le competenze si sovrappongono e le responsabilità diventano opache. Bene quindi ha fatto il governo a avviare il disboscamento istituzionale. È però importante che il processo continui e non si fermi all'eliminazione di qualche Provincia. Bisogna considerare il sistema delle autonomie locali nel suo complesso. Questo va radicalmente semplificato e in questa azione va posta la questione dei «Comuni-polvere», cioè di quei Comuni che sono troppo piccoli per produrre servizi efficienti e che pero' costano. Così come occorre imporre forme di cooperazione tra Comuni limitrofi anche attraverso la creazione di uffici unici per più Comuni.
La terza considerazione concerne la Sicilia. Il suo statuto speciale le attribuisce la competenza in materia di ordinamento degli enti locali. Perciò si può dubitare che la riforma-soppressione delle Province più piccole introdotta al legislatore nazionale operi anche in Sicilia. Ma la nostra Regione avrebbe anche la competenza per andare anche oltre quanto previsto dalla manovra ed operare una drastica semplificazione del sistema istituzionale locale, compresa la soppressione di alcune Province.
È questa una sfida che la classe politica regionale dovrebbe raccogliere, anche superando gli steccati partitici in un momento così grave in cui è improcrastinabile porre in primo piano gli interessi generali del Paese.
Crisi, la Sicilia accetti le decisioni del governo
Lo statuto speciale attribuisce all'Isola la competenza in materia di ordinamento degli enti locali. Perciò si può dubitare che la riforma-soppressione delle Province più piccole introdotta al legislatore nazionale operi anche da queste parti. Ma la nostra Regione avrebbe anche la competenza per andare anche oltre quanto previsto dalla manovra ed operare una drastica semplificazione del sistema istituzionale locale
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