Finalmente c’è un po’ di chiarezza. Il ministro Tremonti in Parlamento ha dettato l’agenda del risanamento. Si parla di obbligo di pareggio di bilancio da rendere elemento costituzionale. C’è l’intervento sulle pensioni, sugli stipendi dei pubblici dipendenti da tagliare, sul mercato del lavoro che verrà liberalizzato. Le aziende potranno licenziare i lavoratori in esubero fermo restando l’impegno dello Stato a fornire il sostegno al reddito nel periodo di transizione.
L’agenda è certamente esaustiva. Non è un caso che la Borsa abbia immediatamente risposto con un rialzo. Adesso c’è da sperare che anche maggioranza e opposizioni si mostrino all’altezza della sfida. Purtroppo le prime reazioni non sono incoraggianti. Bossi ha preso, per la prima volta, le distanze da Tremonti giudicando «fumosa» la sua relazione. All’interno della maggioranza si sentono molti mugugni e parecchie proteste. La sinistra non sembra aver abbandonato i suoi avamposti. Bersani chiede un nuovo governo. Altrimenti proseguirà la linea dura.
Gli appelli all'unità nazionale su cui si sgola Napolitano cadono nel vuoto. Eppure mai come in questo caso il Paese avrebbe bisogno di ricompattarsi attorno a obiettivi comuni. Le forze politiche dovrebbero mettere da parte i loro particolarismi per mobilitarsi. Invece nulla. Continuano a litigare. Dovrebbero dare il buon esempio tagliando i costi. Per esempio abolendo le Province, oppure riducendo auto blu e altri privilegi. Magari sacrifici solo simbolici. Tuttavia darebbero agli italiani una dimostrazione di buona volontà. Invece da questo fronte non arrivano novità confortanti. Proprio ieri è venuto fuori il menu al ristorante del Senato: ricco di piatti, povero di prezzo: 1,6 euro per un piatto di pasta. Certo non è dalla dieta di Palazzo Madama che passa il risanamento di conti pubblici. Però in questo momento quella tavola imbandita sembra un'altro schiaffo nei confronti degli italiani.
Ben altri sono i bocconi che Tremonti chiede agli italiani di ingoiare. Sono medicine amare ma ormai indispensabili. Si comincia con le pensioni. Quelle esistenti non si toccano, se non una sforbiciata su quelle veramente molto alte. Per il resto si tratta di adeguare l'Italia al resto dell'Europa. Innanzitutto abolendo i trattamenti di anzianità che non conoscono repliche in altri ordinamenti. Li aveva la Grecia e si è visto com'è finita. Anche l'età pensionabile va aumentata perché le aspettative di vita sono cresciute. Prima fra tutte quelle delle donne. Ecco perché non si capisce la ragione dell'ostilità ad alzare la soglia del congedo a 65 anni anche per il lavoro femminile nel settore privato. Già esiste nella pubblica amministrazione. Perché la disparità? La flessibilità dei contratti. L'attuale sistema concentra tutta la flessibilità sulla soglia d'ingresso. Tutte costruzioni più o meno artificiali che fanno ricadere sui giovani il peso dell'aggiustamento. I padri, infatti, godono di contratti a tempo indeterminato che sono più solidi di un matrimonio. L'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori poi consente la conservazione di ingiustificabili privilegi. Ci sono i dipendenti delle aziende con più di 15 dipendenti che militano nella serie A contrattuale godendo di tutte le garanzie di fronte ad eventuali difficoltà dell'impresa. Quelli delle imprese più piccole sono indifesi di fronte allo tsunami della congiuntura avversa.
Ecco perché bisogna smettere di considerare il lavoro come una variabile indipendente dalle condizioni di salute dei un'impresa. La risposta non può che essere la liberalizzazione contrattuale. Da una parte dare spazio agli accordi aziendali rispetto a quelli nazionali. Consentire alle aziende che vanno bene di assumere nelle fasi di espansione. Libere poi di tagliare se la dinamica dovesse rovesciarsi. Solo così sarà possibile rimettere in moto il mercato e affrontare in maniera decisiva il problema dei giovani. Infine la pubblica amministrazione. Finalmente si parla di efficienza. Anche a costo di tagliare gli stipendi. È successo in tutta Europa. Addirittura in Gran Bretagna e Spagna sta per arrivare la libertà di licenziamento. Per il momento Tremonti non ne parla. Tuttavia si può immaginare uno scambio: maggior produttività (e quindi meno organici) in cambio di stipendi più alti. I sindacati sono pronti alla sfida? Vedremo.
Crisi, la politica deve dare il buon esempio
Ieri il ministro dell'Economia Tremonti ha dettato l'agenda del risanamento, che prevede molti sacrifici per gli italiani. Anche i partiti, però, dovrebbero fare la propria parte
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