Il nostro Paese ha così deciso di intervenire. Complici di questa decisione sono state le pressioni della Bce, la Banca centrale europea, degli Stati Uniti e dell'Unione Europea che temono i contraccolpi di una eventuale deriva dei titoli pubblici italiani, ma che guardano anche al rischio di un tracollo dell'euro. Da venerdì sera i media bombardano l'opinione pubblica italiana con l'annuncio che la manovra anticrisi, varata qualche settimana fa in appena tre giorni, sarà «anticipata». Che questa mossa punti a mandare un chiaro segnale alla speculazione internazionale, è di tutta evidenza; ma, ci si chiede, che cosa concretamente implica per gli italiani questa decisione? Intanto il Parlamento italiano comincerà a discutere, fin da questo mese, una modifica della Costituzione, introducendo l'«obbligo» di perseguire nel bilancio dello Stato il pareggio tra entrate ed uscite; non si potranno più impegnare risorse che non ci sono, approvando bilanci in deficit. È appena il caso di ricordare che una norma costituzionale non può essere derogata neanche con una legge dello Stato. La seconda mossa punta a rendere più appetibile il nostro Paese agli occhi degli investitori stranieri ed a stimolare le nostre imprese, introducendo nella costituzione una vera e propria rivoluzione: sarà possibile per le imprese fare tutto quello che non è espressamente vietato; sembra poca cosa ma oggi in realtà accade tutto il contrario: si può fare, infatti, solo quello che è espressamente consentito. E veniamo infine alla parte più dolorosa della manovra che, alla fine, dovrà consentire il pareggio di bilancio, fin dal 2013, attraverso un taglio di circa 20 miliardi di euro. La scelta politica è quella di anticipare al 2012 ed al 2013 una manovra che doveva riguardare il 2013 ed il 2014 (per intenderci dopo le prossime elezioni politiche!). Come già deciso nella manovra anticrisi sarà ridisegnato, stringendo le maglie dei beneficiari, l'indice Isee; è quell'indice attribuito dall'Inps che permette ai redditi più bassi di godere di agevolazioni, come ad esempio l'esenzione dai ticket sanitari o la riduzione delle tasse scolastiche ed universitarie. È lo stesso indice del quale beneficiano, con qualche eccesso, più della metà dei siciliani, esentati ad esempio dalla contribuzione alla spesa sanitaria. Saranno poi introdotti maggiori vincoli per i trattamenti di invalidità; basti pensare che la relativa spesa pubblica è triplicata in quattro anni, superando i 16 miliardi di euro. Addirittura con la legge 104, che si vuole oggi correggere, i dipendenti pubblici della Regione Siciliana possono andare in pensione con appena 25 anni di contribuzione. Un altro ambito di intervento «anticipato» riguarda le pensioni di riversibilità, che ormai pesano per 35 miliardi di euro all'anno e per le quali si vogliono introdurre alcune limitazioni ed evitare qualche abuso. Insomma, sarà dura e, di conseguenza, si faranno presto sentire lobby, congreghe e corporazioni varie. Una delle decisioni già attive, riguarda il prelievo forzoso del 5% sulle pensioni che superano i 90.000 euro all'anno; decisione che ha provocato reazioni polemiche. Ora, a parte che il prelievo riguarda la parte di pensione che eccede appunto la soglia di 90.000 euro, resta da capire come si possa protestare davanti a tre milioni di italiani con una pensione da 500 euro al mese. Certo, quando il bisturi dei tagli affonderà nella carne viva del contribuente, non sarà sempre facile distinguere tra ciò che è equo e ciò che non lo è. Ma certo se ci si mette nella logica del «fuori dal mio giardino» questo nostro Paese ed il suo disastrato Sud faranno ben poca strada.