Dopo il voto di mercoledì che ha mandato nel carcere di Poggioreale il deputato del Pdl Alfonso Papa, Roberto Maroni è diventato il personaggio centrale della politica italiana. La sua leadership di fatto nella Lega fa tornare alla mente alcuni passaggi della sua storia politica.
Nel 1994 Maroni, anche allora ministro dell'Interno, era contrario alla caduta del primo governo Berlusconi voluta da Bossi. Al congresso di Assago del '95 - quello in cui D'Alema definì la Lega «costola della sinistra» - Maroni rischiò l'espulsione. Fu fischiato e insolentito. Lo raccolsi in lacrime nel retropalco insieme alla moglie e ad Antonio Marano, oggi vice direttore generale della Rai. Maroni restò a lungo in punizione (aveva vinto la cordata di Calderoli) e solo la vecchia amicizia con Bossi lo rimise più tardi in circolo. Eppure Maroni, anche da ottimo ministro dell'Interno, è stato sempre il leader meno amato dalla base leghista. Con la mossa dell'altra sera ha recuperato d'un colpo il consenso della «pancia» padana smarcandosi dai tatticismi ambigui di Bossi. Non solo: ha dimostrato all'interno e all'esterno del partito che conta lui più del «cerchio magico» dei fedelissimi del Capo ed ha avviato - se non proprio un'offerta pubblica d'acquisto sulla Lega - le premesse per una successione morbida. In due parole, Maroni ha voluto dimostrare agli alleati che insieme con il dopo Berlusconi è cominciato anche il dopo Bossi e che se Alfano sarà il cavallo vincente nel nuovo palio del centrodestra, lui è pronto a montargli addosso. Per quasi vent'anni Maroni è stato il pesce pilota di Bossi nei sondaggi a sinistra. Tuttora è corteggiatissimo da quella sponda, ma allo stato è molto più probabile che si giochi la sua partita all'interno dell'attuale maggioranza, alla quale potrebbe aggregarsi anche Casini, pronto a ricevere in premio il Quirinale. Infine, chi ritiene che Maroni voglia tagliare fuori Tremonti dalla corsa alla successione del Cavaliere, ha visto nel voto contro Papa la premessa perché il ministro dell'Interno si candidi fin d'ora ad essere l'arbitro della sorte di Marco Milanese, la persona in assoluto più vicina al ministro dell'Economia, sul cui arresto la Camera si pronuncerà quanto prima.
Reggerà a questo punto il governo? Maroni ha mandato agli alleati segnali tranquillizzanti. Allo stato nessuno nella maggioranza ha interesse a far precipitare la situazione. Ma quando il gioco si fa pesante, può sempre capitare un colpo inatteso.
Se con il suo voto palese Maroni ha chetato la pancia della Lega, non si può dire che la vicenda Papa-Tedesco sia stato un segnale utile ai rapporti tra la Casta e l'opinione pubblica. La gente ha capito che il gioco della politica ancora una volta è prevalso sulla valutazione delle responsabilità personali. Da un lato non si è avuto il coraggio di dire che i parlamentari sono cittadini come gli altri, dall'altro non si è avuto il coraggio di difendere dinanzi ai magistrati le prerogative costituzionali degli eletti ai quali ,in costanza di mandato, il carcere preventivo - eccezionale per tutti - dovrebbe essere riservato solo in casi clamorosi, come lo fu per i quattro parlamentari che vi furono condannati per fatti di terrorismo o simili dalla nascita della Repubblica a oggi. Un ministro ricordava ieri sera che durante Tangentopoli il «parlamento degli inquisiti» respinse ben 28 richieste della magistratura su 28. «Se fosse rimasta l'autorizzazione a procedere - osservava - noi l'avremmo concessa con larghezza e forse non ci sarebbe questa raffica di richieste d'arresto». Avranno i magistrati il buon senso in futuro di limitarle a casi eccezionali o è ripreso il tiro a segno contro la classe politica? E avranno i parlamentari il buon gusto di valutare i nuovi casi Papa e Tedesco senza farne i birilli di un gioco che con la giustizia ha poco a che fare?