Nei palazzi romani si parla di un'estate politicamente torrida e di un autunno gelido per Berlusconi. Il fantasma del governo tecnico lascia all'alba la camera da letto di Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli per inzupparsi nei cappuccini dei parlamentari più mattinieri, nascondersi sotto i condizionatori del Palazzo, fare capolino alla sera nelle tavolate dei tiratardi. Si parla (e straparla) di tutto e in particolare si guarda ai palazzi di giustizia come unica fonte possibile di quell' "incidente" sul quale il governo in carica, provvisto di una maggioranza parlamentare ormai consolidata, potrebbe sdrucciolare.
In realtà, con un presidente del Consiglio fermissimo sulle sue, solo quando lo scenario dovesse cambiare in modo drammatico il fantasma che agita tanti sonni sarebbe autorizzato a togliersi il lenzuolo di dosso. Nel chiacchiericcio di mezz'estate, i nomi più accreditati per guidare il «governo del Presidente» sono Mario Monti e Giuliano Amato. Nell'estate del '93, sostituito da Ciampi a palazzo Chigi, Amato mi disse che solo il disfacimento della politica consociativa gli aveva consentito di cominciare con dieci anni di ritardo il riordino del sistema pensionistico e dei contributi dei cittadini al servizio sanitario nazionale.
In effetti, con cinque ministri persi in cinquanta giorni e un sesto che se ne andò per non prendersi gli schizzi di fango, Amato potette fare la manovra da novantamila miliardi e tante altre cose come commissario del governo piuttosto che come presidente del Consiglio. È probabile che egli pensi a quella sua lontana esperienza quando parla della cura shock per risanare il bilancio pubblico. Nella sostanza la sua tesi sarebbe questa: siamo sessanta milioni i venti milioni più benestanti paghino una «una tantum» di tremila euro a testa e il debito pubblico scenderà dal 120 per cento del prodotto interno lordo all'80,più o meno in linea con gli altri principali paesi europei. Non siamo economisti, ma la nasometria ci dice più o meno che potremmo risparmiare non meno di 25 miliardi di interessi all'anno. Niente più manovre, niente sacrifici come quelli richiesti negli ultimi anni e magari anche un taglio alle imposte. Riteniamo tuttavia difficile che gli italiani, in assoluto maldisposti a tirar fuori tanti soldi dal portafogli o dai loro depositi di risparmio, lo facciano senza un autentico patto non eludibile con la classe politica.
1) Più che la riduzione dello stipendio dei parlamentari, è urgente la riduzione del loro numero. È ragionevole che ne bastino poco più della metà con la sola Camera a fare il grosso del lavoro legislativo.
2) Le aziende municipalizzate -come le Asl - sono fonte di nepotismo e corruzione, anche quando funzionano bene. La loro privatizzazione sarebbe un segnale di disponibilità della classe politica verso i cittadini.
3) Gli ottomila comuni sono per più della metà molto piccoli. Vanno accorpati, come le province, se non è possibile eliminarle del tutto come sarebbe auspicabile.
4)Vanno accorpati gli uffici giudiziari e chiusi o riconvertiti gli ospedali minori: i piccoli restano in piedi solo per un gioco di clientele assolutamente bipartisan.
Non basta ovviamente questo a riformare lo Stato: Amato per esempio ha ragione quando dice che i vincoli dello statuto dei lavoratori castra la crescita delle imprese sotto i quindici dipendenti. Ma i quattro punti che abbiamo indicato darebbero ai cittadini il segno che la politica vuole davvero rinunciare ai propri privilegi nel momento in cui chiede ai cittadini un enorme sacrificio finanziario.
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