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C'era una volta l'America

di NINO SUNSERI
C’era una volta un grande Paese che aveva la leadership economica, politica e militare nel mondo. Quel Paese erano gli Stati Uniti d'America. Avevano una leadership che era anche morale. Capace di processare senza paura il proprio passato. Capace di non avere più un bianco alla presidenza dopo aver praticato una feroce segregazione razziale. Capace anche di unirsi senza distinzioni intorno al comandante in capo. Come nel giorno sciagurato delle Torri Gemelle quando il ricordo funebre delle vittime univa Bush e Clinton, repubblicani e democratici, bianchi e neri senza distinzioni.



Gli Stati Uniti che conosciamo e apprezziamo, purtroppo, stanno prendendo una deriva che tradisce il suo passato. Sulla legge di bilancio sembrano diventati l'Italia. Neanche quella attuale. Bensì la Prima Repubblica quando la Finanziaria veniva discussa, nella notte, nelle stanze di Paolo Cirino Pomicino, potentissimo presidente della commissione Finanze. Vertici nei quali venivano trovate mediazioni acrobatiche il cui risultato era sempre lo stesso: la crescita del disavanzo pubblico. Oggi paghiamo il prezzo di qui triangoli incestuosi la cui stella polare era una sola: non scontentare nessuno.
Fa un po' impressione ora leggere sul «Corriere della Sera» un'intervista in cui proprio il caso italiano viene ricordato da Mark Skoda, capo dei Tea-Party, il movimento di contestazione ultra-liberal, che sta terremotando la politica americana. Skoda parla dell'Italia come di un esempio da condannare. Eppure gli Stati Uniti sembrano avviati sulla medesima strada. Un regolamento dei conti fra le diverse anime della maggioranza e dell'opposizione che cerca nel bilancio pubblico la ricomposizione.



Perché quello che sta accadendo, nella buona sostanza è questo. Gli Stati Uniti devono approvare la legge di bilancio per il 2012. Devono fissare il limite di spesa che, essendo americani, è una cosa seria (non una semplice indicazione come in Italia). Talmente seria che in assenza l'amministrazione blocca i pagamenti (noi abbiamo invece la scappatoia dell'esercizio provvisorio). La legge deve essere approvata entro martedì. I partiti hanno in corso una partita estrema giocando sul fatto che la maggioranza dei democratici, dopo le elezioni di medio termine, non è più granitica. L'anno prossimo, invece si vota per la Casa Bianca e i repubblicani vedono la possibilità di interrompere il percorso di Obama. Per questo vincolano il loro voto al ridimensionamento dei programmi sociali (a cominciare dalla sanità) che rappresentano l'elemento distintivo amministrazione. Obama pareggia il conto dichiarando la disponibilità a rivedere le sue riforme in cambio di un maggior carico fiscale. Soprattutto per le fasce ricche che rappresentano il bacino elettorale dei repubblicani.



La partita è ferma a questo punto e, se si cerca una via di uscita, resta la caduta d’immagine. La crisi ha presentato il conto. È caduto il vecchio modello di sviluppo che affidava all'espansione della spesa pubblica le funzioni di spinta dell'economia. Oggi è chiaro per tutti che le politiche di disavanzo sono un freno, non certo il motore. Serve un cambio di marcia ma, come si vede, le leadership politiche annaspano. Ed è proprio per questo che, mai come in questo momento, tutto il mondo guarda agli Stati Uniti. Perché c'era una volta un Paese... E, in verità, vorremmo che ci fosse ancora.

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