È trascorsa una settimana dall'eliminazione di Bin Laden, e - nonostante le immediate promesse di vendetta - l'unica reazione dei fondamentalisti islamici è consistita in un fallito assalto dei Talebani a Kandahar, che fu già, prima del 2001, il quartier generale dello sceicco del terrore. Dal momento che un attentato importante richiede una lunga preparazione, è presto per decretare che Al Qaeda non è più in grado di colpirci: gli obbiettivi possibili, aerei, treni, acquedotti, centrali nucleari dell'intero Occidente sono troppo numerosi per essere efficacemente protetti e ci sono in giro molte cellule qaediste che non sono ancora state toccate. Ma, sicuramente, il reperimento da parte dei commandos americani di una massa enorme di informazioni nel covo di Abbotabad deve avere spiazzato il resto della dirigenza dell'organizzazione terroristica: gli Al Zawahiri, gli Al Awlaki e gli altri delfini di Osama si staranno chiedendo in queste ore se la CIA conosce ora i loro rifugi e se non siano i prossimi sulla lista. Una prova di questo smarrimento è la rinuncia alla riunione nel Waziristan del Nord che, per dimostrare che Al Qaeda - che ha ammesso la perdita del suo leader - rimane viva e vegeta, doveva subito procedere alla nomina di un successore.
Se per adesso è andata bene, il futuro rimane denso di incognite. Molto dipende dal ruolo che Bin Laden aveva ancora sul piano operativo. Gli americani sostengono che, nonostante l'isolamento cui era costretto, egli rimaneva il vero stratega di Al Qaeda, l'uomo che sceglieva gli obbiettivi e impartiva le direttive generali. E', evidentemente, nel loro interesse far credere di avere mozzato, come è stato detto, "la testa del serpente". Tuttavia, le immagini che la stessa CIA ha diffuso, di un signore dalla barba bianca, avvolto in una vecchia coperta che smanetta su un televisore ancora più vecchio inducono poittosto a credere che Bin Laden, recluso da sei anni in una casa senza telefono e senza internet, fosse ormai più che altro il punto di riferimento ideologico per i quattro rami più attivi della sua "creatura" e che possono benissimo sopravvivergli: AQ nella penisola arabica, con sede nello Yemen, che conta su circa 500 combattenti; AQ in Iraq, che ha approfittato della confusione politica per tornare in campo; AQ nel Magreb, che ha appena messo a segno un attentato in Marocco, è ben viva in Algeria e in Mauritania e potrebbe approfittare della guerra civile in Libia per infiltrare i suoi uomini anche in Europa; AQ in Somalia, che col nome di Shebab controlla tutta la parte meridionale del Paese.
Per valutare l'influenza che Osama aveva ancora nel mondo islamico è interessante esaminare le reazioni alla sua eliminazione. I numerosi siti jihadisti e la stessa Facebook araba sono naturalmente pieni di rimpianto per il leader scomparso e di propositi di vendetta per il suo "vile assassinio". Tuttavia, la piazza musulmana non si è agitata più di tanto: qualche migliaio di dimostranti nelle principali città pakistane, alcune centinaia di salafiti al Cairo e poco altro. Gravissima è invece la esaltazione del ruolo di Bin Laden da parte del leader di Hamas a Gaza, Haniyeh: una simile presa di posizione all'indomani della composizione della frattura con l'Autorità Nazionale palestinese di Abu Mazen porterà solo acqua al mulino di Israele, per cui questo accordo rende ancora più difficile la composizione del conflitto.
L'incognita maggiore è comunque l'effetto che la morte dello sceicco avrà sulla guerra in Afghanistan: i Talebani, privati del loro principale finanziatore, scenderanno a più miti consigli o al contrario anticiperanno l'annunciata offensiva estiva? Molto dipenderà da che cosa deciderà di fare il Pakistan, che è nello stesso tempo imbarazzato per avere permesso a Osama di vivere indisturbato all'ombra della sua Accademia militare e furioso con gli Stati Uniti per la violazione della sua sovranità territoriale. Se prevarrà l'ala filoamericana capeggiata dal presidente Zardari intensificherà la caccia al Mullah Omar e agli altri capi talebani che si nascondono nelle sue città, se invece avessero il sopravvento il Paese continuerà a tollerare l'esistenza dei santuari nelle zone tribali da dove i Talabani lanciano i loro attacchi.
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