Il maggior coinvolgimento dell'aviazione italiana in Libia, annunciato dal Presidente del Consiglio per assicurare l'omogeneità con la posizione dei nostri alleati, Stati Uniti in testa, apre una difficile querelle politico-istituzionale tra le forze politiche. L'Italia dei valori dichiara che presenterà una mozione sul caso Libia per sollecitare un voto parlamentare. E sulla necessità di un voto parlamentare insistono anche altri leader del centro-sinistra come Franceschini e la Finocchiaro. La prima questione che si pone, pertanto, è se il voto parlamentare sia costituzionalmente necessario. La risposta sembra negativa perché in realtà già il parlamento ha votato a favore della posizione favorevole all'intervento in Libia espressa dal Consiglio supremo di difesa che ha deliberato di dare seguito alla risoluzione dell'Onu n. 1973. In realtà dal punto di vista giuridico-formale il maggior coinvolgimento dell'aviazione italiana annunciato dal Premier rientra pienamente sotto l'ombrello della risoluzione dell'Onu sulla cui base agiscono gli altri Paesi dell'alleanza dei volenterosi. Diverso e più complesso è il profilo politico della vicenda. La Lega, infatti, aveva mal sopportato il coinvolgimento italiano nella missione in Libia, preferendo l'astensionismo della Germania. Così ha subito mirato ad un'applicazione restrittiva della risoluzione Onu e del voto parlamentare, favorendo il basso profilo dell'Italia reso possibile dall'impiego dei nostri aerei come mezzi di supporto delle forze dell'alleanza ed escludendo l'uso diretto di missili e bombe contro obiettivi libici. Ma questa posizione, inizialmente condivisa dal Premier, ha messo il nostro governo in una posizione difficile rispetto alle nostre alleanze internazionali. Gli equilibri di politica interna e quelli di politica internazionale sono entrati in conflitto ed alla fine il premier ha dovuto accettare un coinvolgimento più chiaro dell'Italia nella missione militare libica. Era perciò prevedibile che si riaprisse la dialettica con la Lega. Inizialmente sembrava trattarsi di una dialettica interna al Governo ed alla sua maggioranza, come ha prontamente evidenziato dall'on. Reguzzoni. Le cose cambiano non solo per la dura presa di posizione contro il maggior coinvolgimento militare espressa da Bossi sulla Padania, ma soprattutto a seguito di quanto affermato dal ministro Maroni. Quest'ultimo continua a riferirsi alla sostanziale neutralità della Germania, critica apertamente il Premier ed è possibilista sul voto parlamentare. C'è una vistosa diversità di posizioni nel Governo e probabilmente nella stessa Lega, dove si confronta l'ala governativa, che non vuole mettere in discussione l'esistenza della maggioranza e del governo, e l'ala più sensibile alle ragioni della base, che vede un nesso inscindibile tra la partecipazione alle operazioni militari in Libia e l'ondata di immigrati clandestini che si sta riversando sul nostro Paese. Ma se si va realmente al voto parlamentare, com'e ormai probabile, con chi voterà la Lega? Sarà possibile ricomporre in una mozione unitaria le diverse anime della politica estera del Governo? Certamente due punti appaiono importanti in questa confusa situazione politica. Il primo è che nella composizione dei conflitti della maggioranza un posto importante occuperà il modo in cui viene trattata l'immigrazione clandestina proveniente dai Paesi del nord Africa, che è la vera questione che sta a cuore alla Lega ed al suo elettorato. Anche in questo caso ci sarà un intreccio tra politica interna e politica estera. Infatti la soluzione del problema non potrà prescindere dall'atteggiamento dei nostri alleati, in primo luogo la Francia, e più in generale dell'Europa. Il secondo punto è che ancora una volta la classe politica italiana si presenta, di fronte alle grandi sfide internazionali, divisa, con l'opposizione che cerca di sfruttare le contraddizioni della maggioranza per arrivare alla crisi di governo, e la maggioranza che mette sulla scena pubblica in modo fin troppo vistoso le sue diversità su temi così delicati. Il bipolarismo conflittuale, al contrario delle ben funzionanti democrazie maggioritare, non sa trovare l'unità sulle scelte di politica estera e corre il rischio di indebolire la posizione complessiva del nostro Paese. Probabilmente l'apertura di una crisi di governo in una fase così difficile delle relazioni internazionali ed in presenza di una crisi economica e finanziaria che certamente non è stata ancora superata, indebolirebbe ulteriormente la credibilità del sistema Paese e metterebbe ancora più in pericolo la tutela dell'interesse nazionale. Ma si può ancora esortare i partiti italiani ed i loro leader a un maggior senso di responsabilità soprattutto nei passaggi rischiosi della storia?
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