Si accendono gli animi a Lampedusa. La sommossa della popolazione non lascia scampo. L’accesso al porto è stato bloccato per impedire nuovi sbarchi. L’isola sta affondando sotto il peso della popolazione in eccesso. Il prefetto Caruso, commissario all’emergenza immigrazioni, comunica che entro domani arriveranno sei navi che potranno portare via sino a diecimila persone e gli sgomberi saranno completati. Speriamo che rispetti l’impegno. Il tempo è, infatti, la risorsa che manca se si vuole evitare l’irreparabilità dei danni. Questo giornale si è già espresso nei giorni scorsi sullo sviluppo della situazione. Lo facciamo la terza volta sperando che sia quella buona. 1) È di totale evidenza la riluttanza con cui l’Italia è entrata in guerra contro la Libia. Ragioni di opportunità economica (siamo il primo partner commerciale di Tripoli) e politica (rapporti di buon vicinato con il dirimpettaio) avrebbero consigliato la neutralità. C’era però il rischio di abdicare nell’area mediterranea a favore della Francia. Siamo stati costretti a mettere a disposizione uomini e mezzi. Comunque i rimpianti non servono. Siamo in armi e, come sempre in questi casi, bisogna stare sul teatro dei combattimenti senza mezze misure. Altrimenti si espongono i soldati al fronte ad inutili sacrifici di sangue, E proprio non possiamo permettercelo. In questo senso appare poco condivisibile l'opinione espressa ieri in un'intervista da Maroni. Il ministro, ancora una volta, ha ricordato l'ostilità della Lega al conflitto. Forse avrebbe fatto meglio a lasciar perdere. Quando un Paese è in guerra sarebbe bene che tutti collaborassero allo sforzo bellico. Soprattutto i rappresentanti dello Stato. E non importa se, fino a questo momento, il nostro contributo si è limitato al carburante dei caccia in pattugliamento. 2) Non c'è dubbio che la Sicilia, suo malgrado sia finita in mezzo ad una triplice emergenza. Umanitaria per i migranti che stanno invadendo Lampedusa. Economica per i danni al turismo. Militare perché Birgi è l'avamposto per gli attacchi aerei (mentre la chiusura dell'aeroporto civile ha messo in ginocchio le attività collegate). È di tutta evidenza che l'isola da sola non è in grado di fronteggiare questo appuntito tridente. I problemi vanno risolti d'intesa con il governo di Roma e con Bruxelles. Ma anche con la solidarietà delle altre regioni. Il problema non è della Sicilia. È dell'Italia e dell'Europa. Pertanto ognuno deve dare il proprio contributo a cominciare dagli altri governatori regionali che dovrebbero lasciare da parte egoismi e avarizie. Un gesto di buona volontà sarebbe un bel modo di celebrare i 150 anni dell'Unità. Anche per questo non si sentiva certo il bisogno delle esternazioni del Presidente Lombardo che parla di mitragliatori. Perché non c'è dubbio, come abbiamo più volte segnalato, che non tutti gli sbarchi sono eguali. Un conto sono, infatti, somali, eritrei, curdi che fuggono alle persecuzioni. Tutt'altro i tunisini che fuggono dall'indigenza cercando la valle dell'oro. Lo fanno oggi così come lo facevano prima. L'unica differenza è il terremoto istituzionale a Tunisi che ha fatto saltare tutti gli accordi internazionali. Ecco perché sarebbe necessario adottare profili d'intervento differenti segmentando la provenienza dei clandestini. Alcuni da trattenere, altri da respingere e rispedire immediatamente a casa ripristinando i vecchi patti. Non con il bonus da 1.500 euro che, a questo punto rischia di diventare un incentivo per nuovi sbarchi. Resta il fatto che bisogna far presto perché l'emergenza incalza. Invece siamo ancora al prologo. Berlusconi ha invitato Lombardo a partecipare domani ad una riunione dell'unità di crisi. Poi bisognerà convocare un consiglio dei ministri per trovare una soluzione. Nel frattempo gli sbarchi aumentano d'intensità. Chi vuole fuggire dall'Africa tende a farlo subito, prima che l'Italia adotti una linea di difesa efficace. Ecco perché il tempo è la risorsa più scarsa. Nonostante questo si trova ancora modo di sprecarla.
Noi solidali ma si rischiano danni irreparabili
La Sicilia in mezzo ad una triplice emergenza: umanitaria per i migranti, economica per i danni al turismo, militare perché Birgi è l'avamposto per gli attacchi aerei. Ma l'Isola da sola non è in grado di reggere
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