Che farebbe una famiglia la quale, dopo avere vissuto per molto tempo al di sopra delle proprie possibilità finanziarie, si trovasse alle strette? Comincerebbe a tagliare le spese stabilendo le priorità, ridurrebbe al massimo gli sprechi e, potendo, cercherebbe di aumentare le entrate. La «famiglia» dei comuni siciliani - fatte le debite eccezioni - continua invece a pensare che, prima o poi, qualcuno dall'alto provvederà. È questa la sensazione che si trae dalle dichiarazioni pubbliche di amministratori e consiglieri. Forse molti sindaci ritengono che, per dirla con il filosofo austriaco Wittgenstein, «quel che non si può dire, è necessario tacerlo». E dire che i segnali non mancano. Sullo sfondo, ormai immanente, del federalismo fiscale, si registrano già fatti inquietanti. La manovra nazionale di riduzione del deficit e del debito pubblico, presto farà sentire i suoi morsi. Soltanto il comune di Palermo perderà trasferimenti statali per circa 100 milioni di euro nel prossimo biennio. I segnali che arrivano dal governo nazionale sulla stabilizzazione degli oltre 20 mila precari siciliani, non sembrano del tutto rassicuranti; sarà dura convincere, senza contropartite, il ministero dell'economia di una deroga al patto di stabilità.
Eppure la linea è sempre la stessa: andare avanti come nulla fosse; qualcuno ci dovrà pensare. Come interpretare altrimenti la mezza soluzione data al problema della copertura del servizio Amia? Dove troverà il comune di Palermo i 18 milioni mancanti all'appello e che si vanno aggiungere ai 32 milioni tagliati con la manovra governativa? I nostri comuni - e con essi cinque milioni di siciliani - sono chiusi in una trappola mortale. Nel confronto con il resto d'Italia, i comuni siciliani riescono a riscuotere il 40% in meno di imposte, ma beneficiano in compenso di un 40% in più di trasferimenti. In tempi di federalismo fiscale non è un buon viatico. Per ogni residente i nostri comuni incassano tributi per 267 euro e ricevono trasferimenti da Stato e Regione per 523 euro; con un rapporto fra tributi e trasferimenti invertito rispetto al resto del Paese, dove appunto le entrate tributarie sopravanzano i trasferimenti statali. Per decenni «mamma Regione» (siciliana) non ha mai negato una manovrina di fine anno, con la quale ripianare a piè di lista i crescenti disavanzi comunali. La chiamano, con tono rassicurante, assestamento di bilancio! Oggi i conti comunali sono completamente ingessati.
Nei nostri comuni - senza considerare i precari pagati dalla Regione - il costo del personale impegna il 42% delle entrate; nella media italiana, mezzogiorno compreso, si arriva al 32%. E così in Sicilia, stipendi e rate di mutuo assorbono da soli il 66,5% delle entrate, rispetto al 41,8% della media italiana. Certo non fa piacere a chi vive di consenso chiedere le tasse ai propri concittadini. È molto più agevole che ci pensi un'entità esterna. Ed ora che il mostro è stato creato (eserciti di dipendenti, basso livello dei servizi ed omessa vigilanza fiscale) sarà arduo venirne fuori. Nella manovra nazionale è previsto il trasferimento ai comuni,a titolo definitivo, di un terzo dei nuovi tributi che riusciranno a fare emergere. È una situazione nuova per i sindaci e per le loro giunte. Ma non ha alternative. I nostri amministratori raccoglieranno questa sfida? Ancora una volta e con licenza per il copyright verrebbe da dire, non chiedetevi cosa la Sicilia può fare per voi, ma cosa voi potete fare per la Sicilia.