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Confagri, Peste suina minaccia la suinicoltura italiana

ROMA - Non esiste un vaccino contro la Peste suina africana, una malattia virale non trasmissibile all'uomo che colpisce suini e cinghiale causando ingenti danni economici.

Una minaccia per il settore suinicolo italiano che conta 30mila allevamenti (-27% in dieci anni) esclusi quelli familiari, con poco più di 8,5 milioni di capi, di cui quasi 5 milioni da ingrasso. E' quanto è emerso oggi nell'incontro organizzato da Confagricoltura, per capire come evitare la diffusione del virus e quali sono le buone pratiche da adottare. La malattia può essere affrontata solo con misure di biosicurezza in allevamento, gestione della fauna selvatica e controllo alle frontiere sull'importazione di alimenti trasformati di carne suina tramite gli automezzi, ma anche i singoli viaggiatori; a rischio sono le esportazioni, visto che il virus si può trasmettere, ha spiegato Confagri, anche tramite i trasformati di carne suina e di cinghiale. L'arrivo dalle aree infette europee della malattia nel territorio italiano imporrebbe la chiusura dell'export, viste le severe restrizioni al commercio di prodotti trasformati di carne suina i Paesi, soprattutto quelli indenni, impongono a livello mondiale.

"Per questo - ha spiegato la componente della giunta di Confagricoltura, Giovanna Parmigiani - sono importanti le iniziative preventive di informazione e formazione, così come le misure per il contenimento del rischio di diffusione da comunicare anche a soggetti che non sono strettamente nella filiera, come i "gestori" del territorio e i trasportatori". Le ultime evidenze mostrano che la Peste suina è veicolata principalmente dalla fauna selvatica, in particolare dai cinghiali, per questo si stanno mettendo in atto azioni di contenimento di questa popolazione, soprattutto nelle zone di confine con le aree infette ma anche preventive, come ai confini tra Danimarca e Germania e tra Finlandia e Russia.

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