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Vasco Rossi torna sul palco, il 21 giugno a Messina: "Non mi fermo, il rock italiano sono io"

Da pagina Facebook Official

Il vecchio leone si prepara sornione a piazzare la sua zampata in quell'arena speciale che sono per lui gli stadi italiani. Anche dopo l’abbuffata record del Modena Park dell’estate scorsa, un evento da 225 mila persone, entrato nella storia della musica. «Qualcuno pensava che potessi smettere, fermarmi e sedermi sugli allori, ma se lo avessi fatto non sarei stato io. Non ci penso a fermarmi, anche perché stare sul palco mi tiene in riga. Procediamo ad libitum». Vasco Rossi ha appena finito le prove del suo nuovo Vasco Non Stop Live nello studio di Rimini, davanti a un manipolo di fan adoranti.

Mentre i tecnici smontano le attrezzature al quartier generale del Rockisland per trasferirle a Lignano Sabbiadoro per l'ultima tranche di prove prima del via ufficiale a Torino l’1 e 2 giugno, poi Padova il 6 e 7, Roma l’11 e 12, Bari il 16 e 17, Messina il 21, altri stadi - Milano compresa - sono stati già opzionati per il 2019. Lui, il Komandante, si siede e, giocherellando con i suoi occhiali da sole, si racconta.

Partendo ovviamente dalla sbornia collettiva di un anno fa che sembra avergli nuovi stimoli ed energia ("Stanno arrivando nuove canzoni. Prima della prossima estate ce ne sarà una di carattere femminile filosofico"). «Modena Park, oltre ad essere stato una seduta psicanalitica che mi ha riappacificato con me stesso e con la mia storia, è stato uno spartiacque: c'è un prima e c'è un dopo Modena. Quello è stato un evento unico, e non ci penso nemmeno a rifarlo. Magari per i 50 anni se saremo ancora qui». Anche per questo dopo aver fatto dei Live Kom un marchio di fabbrica negli anni scorsi ha deciso di cambiare rotta e di ripartire dal Vasco Non stop Live. «Sì, come il Neverending tour di Dylan, con le dovute differenze ovviamente e senza puntare al Nobel».

La prima novità rispetto al passato, oltre a una spinta sempre più decisa verso il metal ("il rock si è evoluto nel metal. È una strada che mi viene naturale, anche per rinnovare i pezzi vecchi e non annoiarmi"), sarà l’apertura dei live con Cosa succede in città. Fotografia quanto mai attuale di un Paese che fatica a trovare la sua strada. «E' stato istintivo sceglierla, e ora capisco anche il perché; Canto 'Guarda lì, guarda là, che confusione': oggi la confusione si è moltiplicata in modo esponenziale. 'Non c'è più religione', non ci sono più valori. E poi 'conta sì, il denaro', soprattutto quando non ne hai. In fondo nelle mie canzoni c'è già scritto tutto, è a spiegare che faccio più casino».

Vasco, però, si smarca dall’immagine di messia, di divinità che il suo pubblico in qualche modo gli attribuisce (c'è chi piange quando riesce a sfioralo per un attimo). «Non c'è più il basso, non c'è più l’alto, diceva Nietzsche. Sono saltati i valori di base: io non sono un profeta (nonostante Facebook abbia catalogato la sua pagina «luogo di culto"), io sono quello che scrive le canzoni, ma non sono le mie canzoni. Loro possono essere perfette, l’uomo è sempre un uomo. Dunque imperfetto. Sono una sorta di strumento, non nella mani di Dio, come si sarebbe detto una volta, ma dell’ispirazione. La musica e le canzoni sono una forma di comunicazione potente: confortano, consolano, commuovono e danno una bella carica per affrontare la vita che non è una canzone». Non un Dio, né un Messia, ma rockstar sì.

«Mi ci autodefinii io negli anni '80 per differenziarmi dai cantautori. Anche io sono un cantautore, ma usavo il gruppo come strumento al posto della chitarra acustica e il rock come linguaggio comunicativo, più adatto a provocare le coscienze. Che è quello che deve fare un artista».

La sua prima provocazione, ricorda Vasco, è stata Albachiara: «parlare di masturbazione femminile negli anni '70 non era scontato», ma il vanto è «non aver mai smesso, sono un provacautore».

A 66 anni, non ha paura di dire «il rock italiano sono io», ma apprezza la nuova scena musicale, dove a farla da padrona è la trap. «La ascolto, ma faccio parte di un’altra epoca. I rapper sono i nuovi cantautori. Scrivono testi provocatori, belli, potenti. E Caparezza su tutti è un genio. In giro vedo molti più talenti adesso di una volta».

Anche Sanremo lo ha colpito, con Fabrizio Moro e Ermal Meta su tutti e Ultimo. «Moro scrive molto bene e anche se a me i duetti non piacciono, loro erano convinti e convincenti». A convincerlo poco, invece, è stato Claudio Baglioni: «poteva evitare di farsi cantare le canzoni da tutti i superospiti. Poi si parla di conflitto d’interesse; Mi invitano sempre, ma di sicuro io non le canto le canzoni di Baglioni». A fare il direttore artistico ha mai pensato? «Certo, però vorrei cantare tutto io e vorrei far cantare agli altri le mie canzoni». Il format già c'è.

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