PALERMO. L'ex direttore dell'Espresso, Luigi Vicinanza, e i giornalisti Piero Messina e Maurizio Zoppi sono stati condannati dal giudice civile del Tribunale di Palermo, Cinzia Ferreri, a risarcire "in solido" 57 mila euro all'ex presidente della Regione, Rosario Crocetta, per sei articoli pubblicati tra il 16 e il 31 luglio del 2015.
Crocetta era assistito dagli avvocati Vincenzo Lo Re e Michele Romano che valutano il ricorso in appello a fronte dell'esiguità della somma stabilita come risarcimento (Crocetta aveva detto in conferenza stampa di pretendere 10 milioni di euro per il danno esistenziale, d'immagine e politico subito). I legali hanno chiesto e ottenuto anche un ulteriore somma di duemila euro (che dovrà versare ciascuno dei tre giornalisti) per la riparazione pecuniaria nel caso di diffamazione commessa a mezzo stampa stabilita dall'articolo 12 della legge sulla stampa.
I giornalisti Piero Messina e Maurizio Zoppi sono gli autori dell'articolo sulla presunta intercettazione tra il governatore siciliano Rosario Crocetta e il suo medico, Matteo Tutino.
Nel colloquio i due avrebbero parlato dell'allora assessore regionale alla Salute, Lucia Borsellino. Il medico, accusato di falso, truffa e peculato, secondo quanto ricostruito dai due giornalisti, avrebbe detto a Crocetta: "Lucia Borsellino va fatta fuori come il padre". Ma dell'intercettazione non c'è traccia. Il direttore Vicinanza e il Gruppo L'Espresso (condannato dal giudice civile) avevano ribadito l'esistenza dell'intercettazione.
L'Espresso aveva rifiutato una precedente transazione con un risarcimento di centomila euro, quantificato dal giudice che ha preceduto Ferreri. "Riteniamo la sentenza articolata e corretta in punto di diritto perché esamina tutti gli articoli, rigettando le eccezioni del gruppo L'Espresso - dice Lo Re - Riconosce l'esistenza di un danno non patrimoniale per sofferenza psichica, ma non convince sotto l'aspetto della quantificazione pecuniaria".
Messina e Zoppi sono a processo davanti al tribunale monocratico per calunnia e pubblicazione di notizie false. L'inchiesta è stata condotta dal pm Claudio Camilleri. Il primo a essere iscritto per questi reati è stato Messina. Il giornalista, dopo le polemiche suscitate dalla pubblicazione della notizia e, soprattutto, dopo la smentita della Procura, sarebbe andato da un ufficiale del comando provinciale dei carabinieri di Palermo al quale avrebbe rivelato che a parlargli dell'intercettazione era stato l'ex capo del Nas, Mansueto Cosentino, ora in servizio in Lombardia.
L'ufficiale fece immediatamente una relazione di servizio ai pm. Cosentino, subito dopo, venne interrogato. Il comandante del Nas negò categoricamente di avere mai rivelato la notizia a Messina. Scattò l'iscrizione per calunnia e rivelazione di notizie false. Zoppi, invece, fu iscritto solo per il reato meno grave. Durante il primo interrogatorio i due si avvalsero della facoltà di non rispondere. Poi chiesero di essere sentiti. Alla fine dell'incontro con i magistrati Zoppi, che ribadì le accuse verso Cosentino, si ritrovò iscritto per calunnia. Convocato nuovamente dalla Procura decise di non rispondere.
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