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Niceron, l'immagine che non c'è a Palazzo Barberini

ROMA - Sembrano un ossimoro, una palese contraddizione, un paradosso nel loro mostrarsi così inverosimili, storte, allungate, ricurve, eppure nascondono molto più di ciò che all'apparenza rivelano, promettendo meraviglie a chi saprà guardarle nel modo giusto. Sono le opere della mostra "Curiose riflessioni. Jean-Franois Niceron, le anamorfosi e la magia delle immagini" che le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma presentano al pubblico a Palazzo Barberini dal 7 marzo al 10 giugno.

A cura di Maurizia Cicconi e Michele Di Monte, l'esposizione rende omaggio alle ricerche Jean-Franois Niceron (1613-1646), frate dell'ordine dei Minimi di San Francesco di Paola, teologo e tra i più importanti matematici francesi del '600, presentando quattro anamorfosi, dipinte intorno al 1635 e custodite nei depositi di Palazzo Barberini. Si tratta di opere raramente esposte proprio perché di non facile fruizione: per guardarle infatti si ha bisogno di specchi cilindrici riflettenti che restituiscono, ricomponendola, l'immagine corretta. In questo tipo di tele, infatti, è spostato il punto di vista da cui viene idealmente proiettata l'immagine dell'oggetto rappresentato, di solito collocato esattamente di fronte al quadro stesso (da cui cioè lo guarda l'osservatore). Proprio perché invertono la prospettiva classica, le anamorfosi spiazzano l'osservatore che non riconoscerà più l'oggetto rappresentato ormai deformato e dovrà trovare un nuovo punto di vista, l'unico possibile.

Con l'obiettivo di sottolineare i rapporti tra arte, geometria e matematica e presentare al tempo stesso opere ancora sconosciute, la mostra documenta quanto i quadri di Niceron siano la diretta rappresentazione artistica di quella "magie artificielle" che il frate, appassionato di ottica e geometria, teorizzò nei suoi trattati prospettici La Perspective curieuse (1638) e il Thaumaturgus opticus (1646). Nell'esposizione sono presentati anche due esemplari dei trattati, insieme a un dispositivo che permette la consultazione e l'esplorazione diretta di una versione digitale dei testi, illustrati da un ricco corredo di tavole, disegni e diagrammi. "In verità, tutto l'artificio e la bellezza della pittura risiedono nell'inganno", scriveva Niceron. Le sue opere lo dimostrano: una in particolare, il facsimile del "Gioco ottico" del 1642, che offre anche il divertimento di scoprire l'immagine guardando dentro un "cannocchiale anamorfico", ulteriore testimonianza di quanto in questo gioco di illusioni e rimandi prospettici sia il pubblico l'assoluto protagonista, chiamato a interagire con il quadro.

Nell'unica stanza in cui sono riunite le opere della mostra, per il visitatore è dunque tutta una ricerca verso la definizione di quella preziosa e bellissima "immagine che non c'è", che aspetta solo di essere rivelata. All'interno di questo processo di "rigenerazione della forma" si racchiude tutto l'entusiasmo di un secolo, il '600 appunto, letteralmente stregato dagli studi sull'ottica: l'estetica barocca infatti ben si sposava con le metafore, visive e concettuali, rese possibili dalla dottrina e dalla tecnica dell'anamorfosi. "In fondo si tratta di un inganno innocente, fatto per essere scoperto e innestare la meraviglia", spiega il curatore Di Monte, "le anamorfosi provocano un'illusione e prevedono la mobilità del punto di vista, ma anche dello spettatore che non può essere statico".

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