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Liu Bolin, il camaleonte dell'arte

ROMA -  Si immerge nelle cose e scompare, cambia colore e si mimetizza come un camaleonte, entra a far parte dell'ambiente circostante usando il corpo come strumento di conoscenza: arriva a Roma "the invisible man" Liu Bolin, protagonista della prima grande antologica in Italia allestita al Complesso del Vittoriano dal 2 marzo al 1 luglio. A cura di Raffaele Gavarro, la mostra presenta al pubblico l'intera storia dell'artista cinese, celebre per la sua capacità di restare immobile come una statua e mimetizzarsi in ciò che ha intorno grazie a un accuratissimo body painting. Il percorso di snoda lungo 72 opere che documentano la nascita e lo sviluppo di quel linguaggio personalissimo, frutto di un mix di pittura e fotografia ma anche di performance e installazioni, che rende Bolin del tutto originale. Ormai acclamato in tutto il mondo, l'artista ha iniziato la rivoluzione del 'camouflage' nel 2005: in quell'anno infatti il governo cinese decise di abbattere il quartiere Suojia Village di Pechino, dove Bolin, così come tanti altri artisti, aveva il suo studio. Come atto di ribellione, Bolin si mimetizzò tra le macerie del suo studio e si fece fotografare, iniziando una protesta silenziosa attraverso la sua presenza corporea. E proprio da quell'immagine è iniziata una carriera, ormai lunga 13 anni, dal successo sorprendente, che la mostra romana racconta attraverso 7 sezioni tematiche. Il visitatore vedrà Bolin 'nascondersi' nella sua Cina, da Piazza Tienanmen alla Grande Muraglia, e poi riconoscerà il nostro Paese, dove l'artista ha vissuto l'esperienza di un vero e proprio Grand Tour italiano, misurandosi con le bellezze del nostro patrimonio artistico, dal Colosseo alla Reggia di Caserta (questi scatti sono stati realizzati appositamente per la mostra), dal Canal Grande di Venezia alla Scala di Milano fino all'Arena di Verona. Non mancano incursioni nella moda dei grandi stilisti, come Valentino e Missoni o Moncler, per il quale Bolin è protagonista di una nota campagna pubblicitaria, o nel mito della Ferrari. La sua ricerca artistica è però molto di più che un semplice nascondersi nell'ambiente. Lo dimostrano gli scatti che lo ritraggono in una centrale di smaltimento di rifiuti a Bangalore, o quelli dedicati ai flussi migratori, con la sua immedesimazione nei corpi che viaggiano tra mari e confini alla ricerca di un futuro. "Io mi sono formato come scultore, ma nel 2005 quando il governo ha distrutto il mio studio ho capito che con la scultura non avrei potuto esprimere il senso di ribellione che provavo. Mi era rimasto solo il corpo, non avevo altri strumenti", ha detto oggi Bolin alla presentazione della mostra, "in 13 anni ho cercato di comprendere l'interazione tra l'uomo e la realtà, provando a dare voce alla spiritualità". Il lavoro dell'artista, come ha affermato il curatore Gavarro, "è senza dubbio politico, perché è connesso a un'idea di conoscenza, è un farsi parte delle cose", un tentativo di interpretare silenziosamente la complessità del mondo contemporaneo.

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