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Gli antidepressivi funzionano, conferma arriva da ben 522 studi su migliaia di persone

 Gli antidepressivi funzionano: a stabilirlo e' uno studio pubblicato su Lancet che vede una firma italiana. E' quella di Andrea Cipriani, che dopo 10 anni come docente di psichiatria all'Università di Verona è ora ricercatore della Oxford University. Nel Regno Unito è stato il primo autore dello studio internazionale (che ha coinvolto altri studiosi tra cui americani, francesi, tedeschi, giapponesi) pubblicato su Lancet che ha messo sotto la lente d'ingrandimento questo genere di farmaci. La ricerca, che ha affrontato il tema della loro efficacia, ha analizzato i dati di 522 studi che sono stati condotti su 116.477 persone. E' stato così aggiornato un loro precedente lavoro che aveva come obiettivo quello di confrontare e classificare gli antidepressivi per il trattamento acuto degli adulti con disturbo depressivo maggiore unipolare.
    Gli studiosi hanno concluso le loro analisi sostenendo che i 21 antidepressivi più comuni sono risultati più efficaci nella riduzione della depressione acuta rispetto a farmaci placebo.
    Alcuni principi attivi come agomelatina, amitriptilina, escitalopram, mirtazapina, paroxetina, venlafaxina e vortioxetina si sono rivelati tra i più efficaci. Il disturbo depressivo maggiore è uno dei disturbi psichiatrici più comuni negli adulti. Per trattarlo sono disponibili trattamenti farmacologici e non. A causa di risorse inadeguate, spiegano i ricercatori, gli antidepressivi sono usati più frequentemente rispetto agli interventi psicologici. Secondo alcune stime dell'Organizzazione mondiale della Sanità, nel 2015 ci sono stati nel mondo 350 milioni di persone con depressione. In Italia, stando a dati dell'Istituto superiore di sanità, sono in 3,7 milioni di persone a soffrirne: questa patologia colpisce più le donne che gli uomini.
   

Depressione, a rischio donne e uomini di successo
La depressione, da malattia dell'interiorità a disturbo sempre più legato alla performance: cresce il numero degli uomini che chiedono aiuto ma la patologia resta al femminile. Tre pazienti su quattro sono donne, pari al 75% dei malati. Una sofferenza che tocca ogni fase della vita e va oltre l'appartenenza socio-economica. Ci si ammala tutti ma per motivi diversi. Giovani e giovanissimi, perché cresce l'esposizione ai fattori di rischio legati alle dipendenze. Le donne più esposte sono quelle con un carico familiare e lavorativo gravoso. Il boom della depressione, come ha già segnalato l'Oms, arriverà a diventare nel 2030 la prima causa al mondo di giornate di lavoro perse per disabilità. Di questa malattia e delle sue conseguenze si è parlato al Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicopatologia a Roma, dedicato quest'anno al 'Progetto Promozione Salute Mentale 20.20. Psicopatologia: connessioni, culture, conflitti". Obiettivo: esplorare i diversi modi in cui la psicopatologia e la psichiatria entrano nelle complessità e nelle difficoltà del vivere contemporaneo. "Il benessere mentale sembra una meta che si allontana sempre più sotto la spinta di nuove paure, dell'insicurezza e della perdita di fiducia - commenta Alberto Siracusano, presidente SOPSI - il futuro della società è determinato dal benessere psicofisico dei propri giovani". Sul tema interviene anche Cinzia Niolu, responsabile del Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura Policlinico Universitario Tor Vergata: "I sintomi della depressione non cambiano, quello che cambia è l'approccio alla malattia. Le donne partono dall'interiorità e dalla perdita soggettiva, gli uomini guardano alla dimensione esterna della propria sofferenza, si lamentano soprattutto del calo delle prestazioni lavorative. La paura più grande è quella di perdere il ruolo nella società, di sentirsi falliti".

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