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Praticante avvocato col velo in aula, giudice la fa uscire: è bufera

Foto Archivio

BOLOGNA. «Chi interviene o assiste all’udienza non può portare armi o bastoni e deve stare a capo scoperto e in silenzio». E’ la scritta su un foglio davanti ad un’aula del Tar di Bologna dove questa mattina ad una giovane praticante avvocato che indossava il velo hijab è stato chiesto dal giudice di toglierselo, oppure uscire.

Secondo quanto riferito da alcuni presenti la giovane,marocchina, a quel punto si è rifiutata di scoprirsi il capo esi è allontanata.

La ragazza è una marocchina di 25 anni, si chiama Asmae Belfakir, praticante avvocato, è responsabile legale della comunità islamica di Bologna.
Laureata all’università di Modena e Reggio Emilia, con una tesi sul corpo delle donne e la legge islamica; è stata scelta come praticante nell’ufficio legale dell’ateneo emiliano. Sul web si trovano anche alcune sue pubblicazioni.

Chi la conosce riferisce che ha partecipato a varie udienze in diversi tribunali italiani, sempre indossando lo hijab, il velo islamico che lascia scoperto il viso, e non ci sono mai stati problemi prima di questa mattina.

Sull'episodio infuriano critiche e polemiche.

Insorgono le comunità islamiche di Bologna: «Urge che le autorità competenti facciano chiarezza», dice il coordinatore Yassine Lafram. «Non esistono leggi che vietano di portare il velo in un tribunale». Il giudice, prosegue, «ha detto che si tratta del rispetto della nostra cultura e delle nostre tradizioni», ma questa, secondo il responsabile delle comunità «è un’arbitraria posizione che vuol giustificare il provvedimento. Una giustificazione che non trova ragione in nessuna legge, tanto meno nella Costituzione, che anzi, tutela la libertà religiosa (tra cui l’abbigliamento)».

Dalla parte della praticante marocchina si schiera l'Associazione italiana giovani avvocati (Aiga): «Una posizione inconcepibile ed in contrasto con i principi costituzionali. Alla giovane collega Asmae Belfakir vanno la nostra solidarietà ed il pieno sostegno», scrive il presidente della sezione bolognese di Aiga, Paolo Rossi, intervenendo sul caso del giudice del Tar Emilia-Romagna che ha negato la partecipazione all’udienza di una giovane praticante, perché indossava il velo.
«Un fatto grave - continua Rossi - perché avviene in un’aula di Tribunale dove dovrebbe affermarsi il primato della legge su ogni altra valutazione di natura diversa, sia culturale che tradizionale». Per i giovani avvocati questa mattina i principi della Costituzione «sono passati purtroppo in secondo piano rispetto ad una interpretazione delle norme processuali quantomeno discutibile. Ci auguriamo che episodi come questo non si ripetano più e che siano, anzi, occasione per una riflessione più ampia sui temi dell’integrazione nel nostro Paese».

Non la pensa così il leader della Lega, Matteo Salvini: «Io sto con questo giudice!», scrive su Facebook.

Ancora, Forza Italia: «Chi critica il presidente della seconda sezione del Tar di Bologna per aver richiesto ad una dottoressa in legge che doveva partecipare ad una udienza di camera di consiglio di togliersi il velo islamico che pur le lasciava scoperto il viso evidentemente non conosce l’art. 129 del codice di procedura civile che per l’appunto prevede che 'Chi interviene o assiste all’udienza deve stare a capo scopertò», scrive in una nota Galeazzo Bignami, capogruppo di Forza Italia nell’assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna. "Si potrà valutare opportuna o meno questa disposizione, ma esiste, è vigente ed efficace. Il resto sono polemiche pretestuose fatte da chi cerca sempre un modo per mortificare chi afferma il valore della legge anche quando questa appare a qualcuno retaggio di una identità culturale che in troppi vorrebbero annacquare. Il presidente della sezione quindi non ha esercitato alcuna scelta, ma ha semplicemente applicato le leggi», ha aggiunto Bignami.

Critiche da LeU: «Fermo restando che spetta al giudice la direzione dell’udienza e l’applicazione delle relative norme» in aula «deve essere garantito il pieno rispetto di quelle condotte che - senza recare turbamento al regolare e corretto svolgimento dell’udienza, costituiscono legittimo esercizio del diritto di professare la propria religione, anche uniformandosi ai precetti che riguardano l’abbigliamento e altri segni esteriori. Il Csm concludeva così in una delibera, nel 2012, pronunciandosi sul quesito posto da un tribunale che chiedeva quali regole bisognava seguire nel caso di una persona in aula col capo scoperto, ma non in modo da celare il volto, nel caso specifico dell’epoca un’interprete».  Il parere è segnalato dal deputato Giovanni Paglia e Cathy La Torre, esponenti di Liberi e Uguali. «A tale proposito notiamo con preoccupazione che Mozzarelli non conosce un parere del Csm del 22 febbraio 2012 che va in senso contrario alla sua decisione».

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