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Il Parlamento chiude i battenti, Camere sciolte fra domani e giovedì: al via la campagna elettorale

ROMA. Il sì alla legge di bilancio, lo stop tra le polemiche allo ius soli: l'anno 2017 del Parlamento si chiude al Senato, con un via libera di fatto necessario e un naufragio, quello della legge sulla cittadinanza ai minori stranieri, previsto e prevedibile.

Per lo ius soli non ci sarà più tempo, almeno fino al prossimo marzo: a chiudere, infatti, non è solo l'anno solare di Camera e Senato ma l'intera legislatura parlamentare, con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ormai pronto a sciogliere il Parlamento tra il 28 e il 29 dicembre. La road map del Quirinale, che prevedeva "una chiusura ordinata" della legislatura, ha come date cerchiate di rosso quelle di giovedì e venerdì prossimi: l'intenzione del capo dello Stato sarebbe infatti quella di sciogliere le Camere dopo la conferenza stampa di fine anno del premier Paolo Gentiloni. Conferenza prevista per il giorno 28.

Il decreto di scioglimento dovrebbe quindi arrivare il 28 pomeriggio stesso o al massimo il giorno successivo. A quel punto Gentiloni salirà al Colle. Il premier non dovrebbe dimettersi - d'intesa con il Colle - proprio per restare in carica in una fase che potrebbe dimostrarsi molto complicata e turbolenta, soprattutto se non uscirà subito dalle urne una maggioranza chiara.

Entro i 70 giorni previsti dalla Costituzione gli italiani andranno al voto. Con tutta probabilità la giornata delle urne sarà quella del 4 marzo: anche se teoricamente si potrebbe votare prima, dal quarantacinquesimo giorno dopo lo scioglimento, ma è prassi che per la campagna elettorale sia usato tutto il tempo previsto dalla Carta.

Tra il 44° e il 42° giorno prima del voto (a inizio febbraio quindi) i partiti presenteranno al Viminale i simboli con cui correranno. 20 giorni dopo le elezioni sarà convocato il nuovo Parlamento e quindi, dopo l'elezione dei presidenti delle camere e la formazione dei gruppi parlamentari, saranno avviate le consultazioni per il nuovo governo. Partiti e parlamentari hanno cominciato il lavoro di riposizionamento in vista dello scioglimento.

Alcuni gruppi (come Ala) spariranno probabilmente dalla circolazione. Altri, come quello di Noi con l'Italia al Senato, si sono formati nell'ultimo giorno utile dando nuova linfa alla "quarta gamba del centrodestra". Attivissimi, sul fronte opposto, anche i centristi che si alleeranno con il Pd formando un soggetto che potrebbe vedere la confluenza di Ap guidata da Beatrice Lorenzin, Des-Cd e dei Centristi per l'Europa di Pier Ferdinando Casini.

E a smettere la loro "casacca" istituzionale sono innanzitutto i due presidenti Pietro Grasso e Laura Boldrini. Con il primo che ha congedato l'assemblea con un ringraziamento omnibus segnato dal lungo applauso dell'Aula ed è poi volato a Palermo a iniziare, di fatto, la sua campagna da leader della sinistra.

A segnare il fischio finale dei lavori parlamentari è la polemica sullo ius soli. L'esame del ddl arriva in Aula in tarda mattinata ma subisce subito uno stop (di fatto un addio) per mancanza del numero legale. Assenti i senatori M5S, gran parte dei centristi e un gruppo dei Dem.

Grasso, constatando l'impossibilità di andare avanti, ferma i lavori fissando la nuova seduta per il 9 gennaio del 2018: che sarà resa di fatto impossibile dallo scioglimento delle Camere previsto entro quest'anno. Il mancato numero legale "È responsabilità di destra e M5S", attacca il Pd, laddove Lega e FI esultano per lo stop al ddl e LeU non lesina un attacco ai Dem: "È stata una loro scelta tener ferma la legge per due anni".

Ma non è solo lo ius soli che dovrà attendere la prossima primavera. A naufragare è la legge per il taglio dei vitalizi, teatro di un lungo e durissimo scontro tra Pd e M5S. Resta in naftalina anche il provvedimento per la riforma dei partiti mentre il ddl per la legittima difesa - voluto e difeso fino all'ultimo dalla destra e da FI - si ferma all'ok della Camera dello scorso maggio. Sarà il nuovo Parlamento ad esaminare queste norme. E sarà un Parlamento dai rapporti di forza e dai simboli diversi da quello che si sta congedando dopo cinque anni.

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