Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Emanuela,viaggi e affetti sono antidoto al buio della chemio

Piena di salute, amante della vita, lanciata sul lavoro e sempre in giro Emanuela ha scoperto per caso che qualcosa non andava nel 2012. Durante le vacanze pasquali di quell'anno si sentiva stanca e con la pancia gonfia, aveva meno appetito: è andata all'Humanitas di Milano per esami standard che sono risultati perfetti ma poi un approfondimento col gastroenterologo ha rilevato un problema. "Sono andata da sola a fare l'esame. Ho capito che qualcosa non andava quando la dottoressa mi ha chiesto se ci fosse qualcuno con me: ho chiamato subito mio marito e mia sorella, che è medico - racconta Emanuela - sono entrata al mattino alle nove per fare un'ecoaddome e sono uscita nel primo pomeriggio con una diagnosi di tumore all'ovaio avanzata. Devo dire che mi hanno preparata prima di dirmelo, parlando ad esempio con mia sorella. Io inoltre ho lavorato 12 anni in un'azienda che faceva anche farmaci oncologici, nella quale ci offrivano periodicamente controlli come il Pap test. Mi hanno indirizzata all'Ieo, dove una chirurga, la dottoressa Vanna Zanagnolo, con modi stupendi mi ha detto tutto. Che era uno stadio avanzato, che c'erano il colon e il diaframma intaccati e che bisognava intervenire il prima possibile". Quindici giorni dopo arriva il primo intervento: "Sembravo incinta di nove mesi - prosegue Emanuela - per il gonfiore del liquido causato dal tumore: ho lavorato fino all'ultimo giorno, volevo rispettare gli impegni presi, e mia sorella si è trasferita per aiutarmi a Milano. Sono andata molto serena all'intervento, partivo da un fisico sano. Ero ancora nella fase della fertilità, 47 anni, l'operazione è durata otto ore e per fortuna sono riusciti a 'ripulire' tutto. Mi hanno levato tutto, ovaie, utero, dicendomi che non avrei potuto avere figli ma devo dire che in qualche modo non avendoli avuti fino allora non ha rappresentato un enorme problema per me". Il periodo post operatorio è andato bene, anche grazie alla vicinanza dei familiari e del marito che come ricorda Emanuela è riuscito a starle vicino anche se per lui la diagnosi di tumore è stata uno choc inizialmente. Se l'intervento è stato come una liberazione, poi è arrivata la fase più buia, quella della chemio. Sei cicli. "Sono tosti. La chemio ti fa perdere o capelli, ti prende la testa, ti fa vedere tutto nero. Ti debilita così tanto, ho perso più di venti chili. Ti sembra come un tunnel da cui non riesci a uscire- aggiunge Emanuela- in quei momenti non mi interessava nulla, solo mi alzavo, mangiavo e facevo qualcosina. Ad esempio però mi dava gioia vedere i miei nipotini". Dopo 16 mesi, quando la vita stava lentamente prendendo il suo abituale corso, una recidiva, piccoli noduli dietro al fegato, altro cicli di chemio e la scoperta di avere la mutazione genetica Brca1, quella più nota come mutazione Jolie. Emanuela ha avuto accesso a un farmaco ad uso compassionevole, un parp -inibitore, che l'ha resa libera da malattia per 30 mesi. A marzo 2017, dopo i controlli, la scoperta di metastasi sul bordo della milza e una nuova operazione. Poi una cura di mantenimento, sempre con un parp-inibitore. "C'è di sicuro la paura ma bisogna anche sforzarsi di aprire dei 'cassetti' della vita più gioiosi: per esempio i viaggi. Io ho sempre viaggiato, un'esperienza molto bella che ho fatto è in Oman-conclude Emanuela- secondo me è importante cercare di stare bene, vivere e accettare che in alcuni momenti si ha bisogno di riposare di più. Io mi ritengo peraltro fortunata perché ho avuto un medico (mi riferisco in particolare alla mia chirurga) eccezionale. Per chi sta affrontando adesso la malattia ho un solo, semplice consiglio: essere positivi, combattere, mai mollare". 
   

Caricamento commenti

Commenta la notizia