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Da Boccioni a Balla, poker d'assi

roma - Quattro straordinarie prove su carta realizzate nei primi dieci anni del '900 da Giacomo Balla, Gino Severini, Umberto Boccioni e Duilio Cambellotti mai presentate in un confronto diretto. Un poker d'assi che vede i quattro grandi maestri accomunati dalla condivisione di intenti e dall'uso del linguaggio divisionista subito prima dell'esplosione del Futurismo. Le rare opere grafiche, riunite sotto il titolo "La seduzione dell'ombra" fino al 31 dicembre nella Galleria Russo di Roma, sono la prova del legame non solo artistico ma anche di amicizia del gruppo. Balla ritrae Cambellotti nel "Cesellatore", del 1905. "Il segno a carboncino, nel tratto ripetuto e febbrile già presago della amplificazione dinamica del Futurismo - scrive la storica dell'arte Daniela Fonti - esalta il gesto e ne mette in luce la prorompente energia fisica, ma anche quel tratto di saldezza e consapevolezza morale che i socialisti romani di primo Novecento legano alla figura dell'artista-artigiano".
    Di un anno prima è l'autoritratto a pastello di Severini, "con piglio severo e basco da operaio". L'opera, con dedica "ai miei genitori questo giovanile disegno", è il primo ritratto conosciuto dell'artista e lascia trasparire "la sfida tecnica ai suoi compagni di viaggio". "La falsa civilità", realizzata tra il 1905 e il 1907 da Cambellotti, è una chiara denuncia dei valori umani e naturali schiacciati dalla modernità. Il taglio dell'immagine, quasi cinematografico, mostra in primo piano il selciato e poco più in là l'operaio che lo sta ponendo in opera nell'atto di avanzare cancellando alberi e vegetazione. Cambellotti, che a differenza degli suoi tre colleghi non aderì al movimento di Marinetti, "contesta il mito positivista del progresso e respinge quella 'Città che sale' esaltata di lì a pochissimo dai Futuristi". Di Umberto Boccioni spicca "Controluce", matita e inchiostro del 1910: "In un clima intimo e soffuso di nostalgia, emerge il volto di una bellissima giovane donna, e l'incongrua fascia d'ombra che l'attraversa , quasi proiettata dalla finestra retrostante, è forse un primo inconsapevole accenno alle compenetrazioni del Futurismo ormai incalzante". Il disegno, appartenuto a Margherita Sarfatti, torna sul mercato dopo essere stato esposto per quindici anni alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia. 
   

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