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Regione, la politica del voto
diventi ora di governo

Opportunistica o coraggiosa? Entrambe. La scelta di Musumeci di timbrare una giunta dal forte, anzi diciamo pure esclusivo, stampo politico può essere giudicata in più modi. Anche perché risponde a logiche ed esigenze molteplici. Peraltro apprezzabili o contestabili, a seconda del punto di vista da cui si osservano.

Opportunistica, dicevamo. Perché è chiaro che in questo modo il neo presidente della Regione alleggerisce il proprio peso delle responsabilità, spalmandolo praticamente in egual misura fra sè e i partiti che lo sostengono. I quali, a differenza di quanto per esempio successo con il Crocetta a un certo punto inafferrabile e solitario del precedente quinquennio, non potranno giocare con l’elastico del tirarsi dentro o fuori a secondo di come soffia il vento degli umori di piazza.

Sono dentro del tutto, invece. Hanno neanche troppo facilmente scardinato la logica elettorale del «decido tutto io» di Musumeci (era prevedibile, suvvia), il quale ha sì dato vita alla rituale schermaglia del «questo sì, questo no», col chiaro intento però di accontentare tutti per legare tutti al monolite del suo primo governo. Che è un governo «politico». Come è giusto che sia. Ecco perché coraggiosa.

È totale la rinuncia alla foglia di fico degli assessori tecnici (e non ci si trastulli indicando i nomi di Armao o Lagalla, il cui pedigree politico è ormai robusto almeno quanto quello professionale) e ancor di più degli assessori-vetrina alla Zichichi o alla Battiato del primo Crocetta, per intenderci. Certo, ci sarebbe Sgarbi, ma a parte che fra un paio di mesi probabilmente toglierà il disturbo, il suo arruolamento in squadra risponde ad altre logiche, più pragmaticamente numeriche (meglio averlo dentro che averlo contro, in una disfida elettorale in cui si giocava una partita sul filo dei decimali di percentuale, almeno secondo i sondaggi).

È dunque il momento che la politica si assuma pienamente le responsabilità di governo. Del resto esiste per questo, non certo per quelle logiche spartitorie, clientelari e affaristiche delle quali spesso riempie le cronache (oltre che i fascicoli giudiziari). Senza dunque nascondersi dietro figuranti e figurine. C’è chi obietta, in un cocktail di snobismo salottiero e spocchioso sarcasmo, che le scelte di Musumeci non sarebbero proprio di livello siderale. Questo passa il convento, verrebbe da dire. Ma soprattutto, questi hanno il consenso e dunque questi devono sporcarsi le mani. «Sporcarsi» parola che usiamo non a caso, visto che proprio i rifiuti sono la prima grana di non poco conto piovuta ieri sul tavolo ancora immacolato di Musumeci e del neoassessore Figuccia. Finito, quest’ultimo, quasi lì per caso dopo aver invano reclamato altre e più appetibili deleghe. A conferma che ha prevalso la logica partitica sul valore delle competenze.

La spartizione è stata fatta. Opportunistica e/o coraggiosa che sia. Ora però i fatti. Il sondaggio di Demopolis pubblicato ieri da questo giornale detta di fatto l’agenda delle priorità, stilata direttamente dai siciliani. Nell’ordine: interventi per l’occupazione, efficienza della sanità pubblica, trasporti e infrastrutture, fondi europei per lo sviluppo, riduzione degli sprechi. Non si sfugge. E sopratutto non può farlo la politica. Che - brutta, sporca e cattiva quanto si vuole - deve ora legittimare appieno il suo ruolo: quello di Nello Musumeci, militante di lungo corso, è un governo politico come da tempo non si vedeva. Il test è probante. Attendiamo i risultati.

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