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Italicum, le motivazioni della sentenza: "Dal ballottaggio nessun premio di governabilità"

ROMA. Sono raccolte in 99 pagine le motivazioni, depositate questa sera, della Corte Costituzionale relative alla sentenza sull'Italicum, giudizio del quale è stato relatore il giudice Nicolò Zanon. La sentenza, n. 35/2017, è firmata dal Presidente della Corte, Paolo Grossi.

"Le modalità di attribuzione del premio attraverso il turno di ballottaggio determinano una lesione" perché per come è congegnato l'Italicum "il premio attribuito al secondo turno resta un premio di maggioranza e non diventa un premio di governabilità". Per questo tale premio deve essere vincolato all'esigenza costituzionale "di non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell'assemblea elettiva e l'eguaglianza del voto". Lo scrive la Corte Costituzionale nelle motivazioni sull'Italicum.
La Costituzione, "se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all'esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee".

L'illegittimità costituzionale delle norme relative al ballottaggio previste dall'Italicun "non ha alcuna conseguenza né influenza sulla ben diversa disciplina del secondo turno prevista nei Comuni di maggiori dimensioni, già positivamente esaminata da questa Corte (sentenze n. 275 del 2014 e n. 107 del 1996)": sottolinea la Corte Costituzionale nelle motivazioni della sentenza sull'Italicum.

"Tale disciplina risponde, infatti - scrive la Corte - ad una logica distinta da quella che ispira la legge n. 52 del 2015 (Italicum, ndr). È pur vero che nel sistema elettorale comunale l'elezione di una carica monocratica, quale è il sindaco, alla quale il ballottaggio è primariamente funzionale, influisce in parte anche sulla composizione dell'organo rappresentativo. Ma ciò che più conta è che quel sistema si colloca all'interno di un assetto istituzionale caratterizzato dall'elezione diretta del titolare del potere esecutivo locale, quindi - spiega la Corte Costituzionale - ben diverso dalla forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione a livello nazionale".

E' 'irragionevole' affidare "alla decisione del capolista il destino del voto di preferenza espresso dall'elettore nel collegio prescelto, determinando una distorsione del suo esito in uscita, in violazione non solo del principio dell'uguaglianza ma anche della personalità del voto", tutelati dagli artt. 3 e 48 della Costituzione. Lo afferma la Consulta nella parte in cui boccia la disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d'elezione.

"Né la garanzia di alcun altro interesse di rango costituzionale - prosegue la sentenza - potrebbe bilanciare tale lesione, poiché la libera scelta dell'ambito territoriale in cui essere eletto - al fine di instaurare uno specifico legame, in termini di responsabilità politica, con il corpo degli elettori appartenenti ad un determinato collegio - potrebbe semmai essere invocata da un capolista che in quel collegio abbia guadagnato l'elezione con le preferenze, ma non certo, ed in ipotesi a danno di candidati che le preferenze hanno ottenuto, da un capolista bloccato".

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