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Francesca, la prof senza cattedra che fa la bidella a scuola

Fonte Ansa

ROMA. Insegnante, con tanto di concorso vinto, ma senza cattedra finisce per fare la bidella per sopravvivere. La protagonista è una professoressa molisana di 34 anni, Francesca Capecce di Termoli.

La sua vicenda, raccontata sulle pagine del Corriere della sera, è quella vissuta da centinaia di insegnanti che hanno vinto l'ultimo concorso per l'insegnamento, entrando in graduatoria come vincitori, ma ai quali non è stata assegnata una cattedra.

Diplomata come tecnico dei servizi turistici, per 10 anni ha insegnato accoglienza turistica e ricevimento negli istituti alberghieri e professionali con incarichi temporanei e supplenze. "Poi è arrivata la riforma Gelmini - racconta la Capecce al Corriere -: taglio drastico delle ore della mia materia. Fino al 2013 ho resistito, c’erano spezzoni di cattedre qua e là e giravo come una trottola pur di racimolare le mie ore di insegnamento. Nel 2014 ho preso l’abilitazione con il Pas, sperando mi desse qualche punteggio in più: ma non arrivava niente".

Quando supplenze e incarichi non bastavano più, la scelta fra aspirazione professionale e necessità diventa inevitabile: così nel momento in cui arriva la proposta di lavorare come collaboratrice scolastica accetta.  "E' frustrante. Ma il lavoro è lavoro". Ha una figlia di cinque anni e una famiglia a cui badare. "Mi sono dovuta adattare: le pulizie, l’assistente di laboratorio, l’accoglienza degli alunni, l’assistenza dei disabili, il centralino. Ho fatto di tutto nella scuola della mia ultima supplenza, un Ipssia di Montenero di Bisaccia, in provincia di Campobasso, e ci scherziamo su: servo la scuola in tutto e per tutto".

Sì perché a un certo punto la donna si è ritrovata a fare la bidella anche nella scuola in cui aveva insegnato come supplente qualche anno prima. Una scelta non facile: il timore dei giudizi di colleghi ed ex alunni non era cosa da poco. "E invece i ragazzi mi hanno stupito: mi hanno incoraggiato, aiutato, e detto più volte che per loro ero un esempio di coraggio e fierezza. Mi chiamavano professoressa anche se lavavo i piatti nel laboratorio di cucina, invece di stare in cattedra".

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