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Studio italiano: dopo la cecità, il cervello riattiva il "software" della vista

ROMA. Anche dopo anni di cecità il cervello può riavviare la capacità di vedere: le aree cerebrali della visione, anche a dopo anni di 'abbandono', possono riprogrammarsi e tornare alle loro funzioni originarie.

Lo dimostra lo studio italiano coordinato da Maria Concetta Morrone, dell'università di Pisa, e pubblicato sulla rivista Plos Biology.

I risultati aprono una speranza all'uso di sofisticate protesi per restituire la vista alle persone che l'hanno perduta a causa di malattie, come la retinite pigmentosa.

«Quando una persona perde la vista le aree del cervello dedicate a elaborare le informazioni visive vengono riprogrammate per altre funzioni, ad esempio per il tatto o l'udito», ha osservato Guido Marco Cicchini, dell'Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e uno degli autori dello studio. Pur senza aver subito danni ai sistemi di trasmissione dei segnali o a livello neurale si perde, quindi, la capacità iniziale di 'ascoltare' quello che arriva dal nervo ottico. Un cambiamento che faceva ipotizzare l'impossibilità, anche con protesi capaci di sostituire il compito degli occhi, di poter riattivare la vista. Ma il lavoro dei ricercatori italiani, fatto monitorando l'attività cerebrale con la risonanza magnetica funzionale, ha ora dimostrato che i neuroni della visione possono invece ritornare al loro compito iniziale.

«Dopo aver impiantato delle speciali protesi, fatte da un chip posto sul fondo dell'occhio che invia i dati presi da una piccola telecamera, e grazie all'esercizio, le aree cerebrali 'abbandonate' tornano alla loro funzione visiva. La stimolazione le porta a riorganizzarsi», ha detto ancora il ricercatore. Una scoperta che dimostra l'incredibile plasticità del cervello anche in età adulta e indica nella nascente tecnologia di protesi per non vedenti una possibile soluzione per aiutare a combattere la cecità.

La ricerca, che ha coinvolto anche l'azienda Ospedaliero - Universitaria Careggi e l'istituto di ricerca Stella Maris di Pisa, dimostra l'importanza dello studio dei meccanismi di 'riprogrammazione' che avvengono nel cervello per la progettazione di future protesi sempre più efficienti. Una scoperta che potrebbe aiutare le persone colpite dalla cecità causata dalla lenta e progressiva degenerazione della retina, come nel caso della retinite pigmentosa. Questa malattia degenerativa, che in Italia colpisce una persona su 15 mila porta alla distruzione dei sensori di luce che si trovano nella retina senza però danneggiare i percorsi di collegamento con il cervello.

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