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Tenevano migranti in ostaggio e chiedevano riscatto: fermati 13 somali

CATANIA. Trentasette somali, tre dei quali minorenni, sono stati 'liberati’ dalla polizia di Stato di Catania grazie all'inchiesta 'Somalia Express' della locale Procura che ha fatto luce su un'organizzazione che aveva creato dei 'centri raccolta’ illegali di migranti. Erano in nove appartamenti della città e dell'hinterland utilizzati come base da una banda ritenuta capace di monitorare i flussi degli sbarchi in Sicilia e Calabria.

La polizia di Stato ha fermato sette dei 13 indagati: cinque somali e due italiani, che avevano il ruolo di autista, altri sei somali sono irreperibili Da indagini della squadra mobile della Questura e del Servizio centrale operativo di Roma è emerso che il gruppo mandava un proprio emissario nei centri di accoglienza per prelevare somali arrivati clandestinamente in Italia con la proposta di custodirli in attesa di farli scappare o ricongiungersi con familiari.

Secondo l'accusa, l'organizzazione li teneva nei 'centri raccolta' fino a quando parenti dei migranti non pagavano il costo da loro fissato per farli andare via. Parte del denaro, versato su carte prepagate o col sistema 'Hawala', serviva anche per l'acquisto dei biglietti per i mezzi di trasporto e di documenti contraffatti necessari a consentire ai migranti di muoversi liberamente in Italia o in altri Stati.

Le indagini sono scattate dopo la denuncia nell'ottobre del 2015 di una donna somala residente a Milano sulla presenza a Catania di un minorenne suo connazionale bloccato in una casa della città e che sarebbe potuto partire dalla Sicilia soltanto dopo il pagamento di una somma di denaro. La squadra mobile di Catania ha fatto irruzione in un Internet Point e ha trovato il minorenne e altri ragazzini, fermando sul posto tre somali. Un altro somalo, titolare della casa dove sono stati 'liberati' oggi 10 suoi connazionali, è stato fermato.

L'operazione 'Somalia Express' arriva il giorno prima dell'udienza del processo, col rito abbreviato, che comincerà domani, davanti al Gup Giovanni Cariolo, nei confronti di tre degli 8 presunti componenti dell'equipaggio del peschereccio con 313 migranti vivi a bordo, soccorso l'estate del 2015 nel Canale di Sicilia da nave Cigala Fulgosi, che nella stiva aveva i cadaveri di 49 uomini, deceduti per asfissia. I sopravvissuti e le salme, di quella tragedia nota anche come come la 'strage di ferragosto', arrivarono nel porto di Catania il 17 agosto 2015 sulla nave norvegese Siem Pilot.

Gli otto presunti scafisti erano stati fermati dopo indagini della polizia di Stato, della squadra mobile della Questura, della Guardia di Finanza e del Gico delle Fiamme gialle. L'inchiesta della Procura distrettuale di Catania ha collegato il decesso dei 49 uomini con l'assenza di aria all'interno dell'angusta stiva del peschereccio. Secondo l'accusa gli otto avrebbero «colpito con calci, pugni e l'utilizzo di cinghie ferrate» i migranti nella stiva, «bloccando con i loro corpi i boccaporti che avrebbero consentito il passaggio al ponte superiore» dei viaggiatori «causando così la morte per mancanza di ossigeno» delle 49 vittime.

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