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Lombardi: «Un fronte unico fra Roma e Mosca per fermare le stragi di cristiani»

ROMA. L’occasione ha un peso eccezionale, di una forza concreta, molto più che simbolica. Non era mai accaduto che un successore di Pietro incontrasse il capo della Chiesa ortodossa russa, e l’abbraccio oggi a Cuba tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca Kirill stringerà tutti i colori dell’ecumenismo. Prima di seguire il pontefice in direzione L’Avana, scalo iniziale del viaggio apostolico di Bergoglio in Messico, padre Federico Lombardi spiega il significato profondo di questo storico evento. «Dal Concilio Vaticano II in poi», ricorda il portavoce della Santa Sede, «abbiamo avuto tanti incontri con il Patriarca di Costantinopoli e con altri capi di Chiese orientali, ma mai con il Patriarca russo, capo della Chiesa ortodossa che conta il maggior numero di fedeli. Per una serie di difficoltà oggettive su temi rispetto ai quali il dialogo non si era sviluppato in modo sufficientemente positivo: dal nodo delle Chiese uniate (le Chiese d’Oriente fedeli a Roma, ndr) a quello dell’evangelizzazione dei cattolici nei territori che la Chiesa russa ritiene di propria competenza».

Come e quando è arrivata la svolta?
«Gradualmente. Ai tempi di Giovanni Paolo II sembrava essere molto vicina, ma poi non maturò. Si era parlato di progetti di incontro, sempre fuori da Roma o da Mosca, in vari luoghi d’Europa. Oggi nuove situazioni hanno fatto sì che il progetto diventasse realtà, anche sotto la spinta della novità rappresentata, in un certo senso, dal primo Papa non europeo. L’aver trovato una buona possibilità a Cuba, durante il viaggio apostolico di Francesco e la prima visita del Patriarca Kirill in America Latina, ha poi facilitato la soluzione, ed è arrivato un risultato che in questi ultimi due anni era stato auspicato sia dal Pontefice sia dal Patriarca. Dietro c’è stato un grande lavorio di contatti».

Al di là dei motivi logistici e della coincidenze tra date, la scelta di Cuba ha anche altre motivazioni?
«È un territorio per così dire “neutro”, al di fuori dei confini europei, e al tempo stesso vicino alla Chiesa russa e aperto alla Chiesa cattolica. A Cuba, per ragioni storiche, la presenza russa è stata consistente e ci sono diverse Chiese ortodosse, alcune delle quali consacrate dallo stesso Kirill quando era ancora metropolita. Sempre a Cuba, negli ultimi decenni, vi sono state già tre visite papali, quelle di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e di Francesco».

Ma c’è una questione che ha accelerato l’incontro? Penso al genocidio dei cristiani in atto per opera del terrorismo: un argomento che preoccupa molto Francesco, ma anche il Patriarcato.
«La persecuzione dei cristiani nel Medio Oriente riguarda sia cattolici che ortodossi, e anche la Chiesa russa è molto attenta allo scenario drammatico che tutti conosciamo. È chiaro che un rapporto, una collaborazione tra le due Chiese è fondamentale per unire gli sforzi e sostenere i cristiani che nel mondo si trovano accomunati in una difficile situazione, e come ha detto lo stesso metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, ora più che mai è necessario un impegno per tutti loro e per la pace in generale. Credo però che il cammino ecumenico e il desiderio di un incontro sia indipendente da questo. Come ho detto, lo stesso auspicio c’era anche ai tempi di Wojtyla, e allora i cristiani in Medio Oriente non versavano nella situazione di oggi. E a rafforzare il bisogno di un confronto c’è anche il tema dell’annuncio del Vangelo nelle società moderne e della secolarizzazione, con le posizioni dei cattolici e degli ortodossi che sono molto vicine, più di quanto siano quelle tra cattolici e protestanti».

Il patriarcato russo parla di «ferita aperta» tra la Chiesa di Mosca e il Vaticano. Che prospettive ci sono per sanarla? Basterà un incontro?
«Invito a leggere con attenzione la dichiarazione comune che sarà firmata a Cuba dal Papa e dal Patriarca durante il loro colloquio. Si tratta di un documento importante che permetterà di cogliere i passi fatti nel dialogo e nella comprensione reciproca sui temi che finora sono rimasti aperti. È chiaro che non si risolve tutto con un incontro, ma questa è una tappa fondamentale».

Nel novembre del 2014 Papa Francesco disse di considerare l’uniatismo concetto «di un’altra epoca», e che sarebbe stato necessario trovare un’altra strada. Quale?
«Un cammino verso l’unità da percorrere con un impegno comune nell’evangelizzazione e nell’approfondimento reciproco, sia dei punti che ci avvicinano sia delle differenze, alla luce della stessa fede. Non un’azione per staccare delle parti di un’altra Chiesa e annetterle. La strada è quella indicata dal Documento di Balamand (redatto nel 1993 dalla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, ndr) che suggerì di costruire l’unità tra le diverse confessioni non con le unioni parziali ma a partire dai punti in comune».

Quanto impulso ha avuto l’ecumenismo con Papa Francesco? 
«Negli ultimi 50 anni, a partire dal Concilio Vaticano II, il movimento ecumenico si è rafforzato e arricchito, e gli atti dei Pontefici che si sono succeduti lo hanno intensificato, confrontandosi nel tempo con varie autorità di altre confessioni cristiane, no solo quelle ortodosse. Francesco ha dimostrato di essere impegnato come i suoi predecessori, e con il suo carisma ha dato impulsi nuovi e forti, realizzando ulteriori passi avanti su diverse frontiere. E a questo proposito non si può non notare un elemento innovatore del Papa, che ha allargato i confini dell’ecumenismo: il rapporto con le varie comunità religiose ispirate alla Riforma ma non appartenenti alla tradizionali Chiese del protestantesimo, come i pentecostali ad esempio. Questo è un fronte importantissimo. Ma l’impegno è forte anche nei rapporti con le Chiese luterane. Vorrei ricordare che pochi giorni fa è stato annunciato un viaggio di Francesco in Svezia, a Lund, in occasione della commemorazione dei 500 anni della Riforma luterana».

Parlando dell’incontro tra Bergoglio e Kirill abbiamo tralasciato la visita in Messico. Che viaggio sarà?
«Lo scalo a Cuba è importantissimo per tutte le ragioni di cui ho parlato, ma ovviamente non toglie nulla alla pienezza del viaggio apostolico. Il Messico - basti pensare alle cinque visite di Giovanni Paolo II - ha sempre accolto i Papi con un entusiasmo e un calore straordinari. Ed è il Paese della basilica di Guadalupe, il cuore della devozione mariana del Nuovo Mondo, a cui Francesco è molto legato. Qui il Pontefice avrà un momento di devozione profondissima ed emozionante. Ma è anche il Paese dei grandi flussi migratori che si muovono dal Sud al Nord America, in un drammatico contesto di povertà; e di altri flussi, legati a fatti violenti, al narcotraffico o alla tratta di persone. Il Papa non farà mancare la sua partecipazione, il suo conforto e la solidarietà, per affrontare questi problemi con fiducia facendo appello alle risorse migliori di un popolo che ha una tradizione di fede cristiana profondissima».

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