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Olimpio: «Le bombe russe hanno colpito i ribelli addestrati dagli Stati Uniti»

Vladimir Putin

Sono stati colpiti i ribelli addestrati dalla Cia». Nel day after dei bombardamenti l'America è russi in Siria, si risvegliata molto inquieta. Nel rimpallo di accuse e distinguo, prende campo la certezza, che anche questa volta Putin si sia rivelato un abile doppiogiochista. La guerra fredda, sembra tornata a soffiare i suoi gelidi venti sull' asse di Washington e Mosca. «La mossa di Putin ha rotto il fronte dell' indecisione», racconta Guido Olimpio, inviato speciale negli Stati Uniti del Corriere della Sera. «Lo zar ha deciso di prendersi la ribalta. Ora si chiede a Obama di rispondere alla Russia con più decisione», annota il giornalista esperto di terrorismo internazionale che al tema ha dedicato tra gli altri un bel saggio, Alqaeda.com (Bur, 283 pagg. 8,90 euro).

Che aria si respira negli Usa, dopo i bombardamenti russi in Siria?
«Negli Stati Uniti domina una certa apprensione. Obama è sempre stato molto attento a non invischiarsi nella crisi siriana. Il presidente si è sempre fidato poco di attori locali, ribelli e alleati regionali. Ma i raid russi hanno rotto il fronte dell' indecisione. La mossa di Putin ha spinto alcuni a contestare la linea della Casa Bianca. Molti rimproverano a Washington che gli americani continuano a restare inerti, mentre i russi agiscono e si mostrano determinati».

Le bombe russe sono finite contro gli oppositori di Assad. Quali reazioni alla Casa Bianca?
«È evidente a tutti che Putin si è fatto bello con le parole, ma alla prova dei fatti non ha mantenuto fede alle sue promesse. È possibile che più avanti possano esserci attacchi russi contro lo Stato islamico. Ma al momento emerge la sensazione che l' idea di spacciare i bombardamenti come un' azione per fermare l' Isis, sia stata soltanto una trovata propagandistica. Molti sottolineano con forza in queste ore che il vero obiettivo di Mosca sia quello di difendere a tutti i costi il regime di Assad, e di creare sul terreno siriano una presenza militare russa che potrebbe rimanere lì all' infinito».

Da queste prime operazioni a Homs, è possibile cogliere segnali. La vera strategia di Putin è mettere Assad sotto tutela?
«L' idea fondamentale è quella di una riconquista. Assad si è molto indebolito in questi ultimi mesi. Putin intende puntellare il suo regime e rafforzare le aree del Paese più a rischio, per ricavarne un vantaggio sul piano strategico. Per i russi, dare una mano a Damasco significa poter contare su un credito militare che alla bisogna potrà essere incassato al tavolo negoziale. Ma lo zar conta anche su un piano B».

Di che cosa si tratta?
«Se le operazioni militari condotte dai russi non dovessero avere l' esito sperato, e Assad si trovasse in ambasce, l' obiettivo di Putin diventerebbe quello di creare un' enclave. La Russia ripiegherebbe sulla creazione di una sorta di stato assadiano compreso tra Damasco e la costa che sarebbe difendibile, e potrebbe contare su aeroporti e uno sbocco al mare. L' ipotesi sarebbe insomma quella di dar vita a un' area siriana sostenuta dai rus sie dagli iraniani e pronta ad accogliere le forze pro -regime. L' ipotesi che i siriani non riusciranno a riconquistare il Paese, è d' altra parte plausibile. Che la Russia fornisca aiuti o meno, i siriani non hanno forze e uomini sufficienti per riportare il Paese in controllo. E ora c' è da aspettarsi la contromossa dei ribelli. Chi li aiuta non resterà certamente a guardare».

Bombardare i ribelli siriani non è una mossa controproducente che rischia di infittire le file dell'Isis?
«È un errore strategico mostruoso quello di guardare al fronte nemico come all' unione indiscriminata di Isis, ribelli estremisti, ribelli pragmatici e islamisti. Il nemico si sconfigge dividendolo. Colpire senza distinzioni l' intera opposizione siriana, concede fatalmente agli uomini del Califfo il destro per un messaggio micidiale: "Vi siete fidati di loro per quattro anni e adesso vi bombardano". È sorprendente che i russi non lo capiscano. Si tratta delle stesse difficoltà che hanno costretto gli Stati Uniti a dovere esitare fino a oggi. Forse Putin e i suoi fanno finta di non capire».
Eppure qualcuno sostiene che l' intervento di Putin può consolidare i rapporti tra americani e sunniti.

È così?
«L' intervento di Mosca può senz' altro aprire delle nuove opportunità. Fino a ieri i russi erano coinvolti nella crisi dall' esterno, ma ora che il coinvolgimento è palese sarà anche loro interesse trovare una soluzione. Le difficoltà in nella quali si imbatteranno potrebbero accelerare il cammino verso una soluzione politica».

La difficolta sta proprio qui. È possibile pensare a un' intesa senza coinvolgere le forze di opposizione?
«È ridicolo pensare che americani e russi possano sedersi a un tavolo con Assad per trovare un accordo. Una trattativa deve per forza coinvolgere l' opposizione: non ci sono altri interlocutori possibili. In Siria ci sono i taglia gole, è del tutto evidente. Ma considerare tutti gli oppositori alla stregua di criminali della stessa risma sarebbe un grave errore politico. Spetta agli attori in campo evitare che prevalga la componente che più ha in odio l' Occidente».

Si teme che quello siriano sia un conflitto destinato a durare decenni. Una soluzione a breve termine è impossibile?
«I fatti inducono a nutrire un certo pessimismo. L' Iran difende gli sciiti, mentre l' Arabia Saudita e gli altri Paesi del Golfo danno sostegno ai sunniti: non si tratta di rivalità che possano essere ricomposte facilmente. L' Iraq è in questo senso una cartina di tornasole. A più di dieci anni dalla guerra, le forze in campo non sono riuscite a mettersi d' accordo».

Lorenzo Cremonesi spiegava ieri su queste pagine che per sconfiggere l'Isis bisogna isolare i tagliagole e puntare su quei sunniti che sono invece portatori di istanze politiche più genuine. Tesi condivisibile?
«Cremonesi ha ragione. L' Isis rappresenta una parte di opinione pubblica. E l' opinione pubblica non si cancella con i fucili. Ciò che si può fare al momento è cercare di contenere gli uomini del Califfo con una maggiore presenza di quella avuta sino a oggi sul territorio. Qualche raid e un po' di uomini in più sarebbero di qualche aiuto. Obama ha ragione: sul piano militare l' Isis non può essere sconfitto. Ma per indebolire lo Stato Islamico è indispensabile aiutare i sunniti e cercare di sottrarre consensi ad al-Baghdadi. Se gli sciiti continuano con il settarismo, l' Isis ha tutto da guadagnarci».

Come si esce dal pantano della Siria?
«È assolutamente necessario individuare un dopo Assad, ma la transizione è complicata da due problemi. Innanzitutto i ribelli, che non sono un fronte coeso e avranno sempre qualcosa da eccepire. E in secondo luogo la mancanza di una controparte. Se si decide diestromettere Bashar, occorre individuare un' alternativa che al momento non esiste. In assenza di un' opzione credibile, c' è il rischio che la guerra possa durare anche più di un decennio».

 

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