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Michele Pennisi: «I richiedenti asilo se integrati bene saranno risorse per il nostro Paese»

«I profughi che chiedono asilo possono essere una risorsa per il nostro Paese e, se fanno lavori regolari, possono dare anche un contributo allo sviluppo dell' Italia». Ne è convinto l' Arcivescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi, che è intervenuto al meeting di Comunione e Liberazione, organizzato a Rimini. Un' occasione in cui ha spiegato anche che «si può invertire la rotta del saldo negativo fra nati e morti favorendo l' integrazione delle famiglie degli immigrati». Una strategia che consentirebbe inoltre di «superare le difficoltà nella sostenibilità delle pensioni nel futuro».

Quali ripercussioni può avere la presenza degli immigrati in Italia?
«È importante che i profughi che vengono accolti in Italia, e che in base alla convenzione di Dublino devono essere assistiti qui, possano inserirsi in modo legale nel mondo lavorativo. Così potrebbero dare un contributo per lo sviluppo del nostro Paese. Ho incontrato a Montelepre un gruppo di immigrati ospitato in una struttura che frequenta la parrocchia e queste persone mi hanno detto che la cosa più terribile per loro è la mancanza della possibilità di lavorare, perché lavorare per loro è un' occasione per recuperare dignità. Quindi, credo che finché queste persone vengono assistite possano svolgere nel frattempo lavori socialmente utili, in modo che, da un lato, possano recuperare dignità e, dall' altro, dare un beneficio alla comunità. Potrebbero occuparsi, ad esempio, del verde pubblico odi altri interventi simili».

Lei ha ribadito l' importanza della presenza delle famiglie di immigrati in Italia. Perché?
«Dove ci sono intere famiglie di migranti che si stabiliscono in Italia, queste possono contribuire a ridurre il saldo negativo tra nati e morti che esiste nel nostro Paese. Lo stesso ministro Padoan al meeting di Rimini ha segnalato che se questo saldo negativo continua un domani non si potranno neppure garantire le pensioni».

Come si stanno impegnando le comunità dell' Arcidiocesi di Monreale nell' assistenza ai migranti?
«Esistono varie forme di intervento. Anzitutto, la diocesi attraverso la Caritas accoglie per un periodo limitato alcuni mi granti sbarcati a Palermo. Tutto ciò avviene gratuitamente, senza chiedere alla prefettura alcun contributo. Poi, cerchiamo di coordinare l' assistenza ai migranti che si trovano in alcuni comuni del territorio della diocesi. A Partinico, ad esempio, una parrocchia ha messo a disposizione una struttura dove vengono accolti migranti inviati dalla prefettura, che vengono assistiti da mediatori culturali. A Montelepre invece l' accoglienza è curata da una cooperativa laica e la parrocchia aiuta queste persone a integrarsi nella comunità. Poi, a Camporeale una comunità di salesiane si sta attrezzando per accogliere i minori non accompagnati. Siccome bisogna anticipare delle somme abbiamo fatto un accordo con alcune banche perché possano effettuare dei prestiti con un interesse più basso. Quindi si tratta di un insieme di azioni che la diocesi fa direttamente o che coordina e appoggia».

L' assistenza ai migranti condiziona quella agli italiani che vivono in uno stato di indigenza?
«Cerchiamo di avere una sensibilità nei confronti dei migranti tenendo presente, però, che questo non significa trascurare gli italiani. In diocesi abbiamo diverse mense per i poveri, dove aiutiamo persone in difficoltà. Ela maggior parte di persone che vengono a queste mense non sono straniere ma italiane. Per aiutare gli italiani spendiamo circa il 90 per cento delle nostre risorse. Non si può, però, in questo momento di emergenza in cui i profughi scappano da fame e guerra lasciarli morire in mare, come purtroppo alcuni sostengono.
Chi incrocia gli occhi di queste persone non può pensare di dire una cosa del genere».

Che cosa serve, a suo avviso, perché l' assistenza ai profughi che attraversano il Mediterraneo sia più umana?
«Serve un intervento dell' Onu. Le migrazioni all' interno del bacino del Mediterraneo sono un fenomeno di lunga tradizione con profonde implicazioni storiche e socio -politiche.
Non è un fenomeno straordinario e temporaneo, che riguarda la nostra quotidianità, con cui dobbiamo fare i conti come Chiesa, ma con cui devono farli anche il Governo italiano, l' Unione europea e la Comunità internazionale. Non è un problema che si può pensare di risolvere con delle misure emergenziali. Ci vuole un piano globale per cercare di risolverlo all' origine, nel modo più rispettoso della dignità delle persone e della loro identità religiosa e culturale. È tempo che l' Unione europea rompa gli indugi per una politica "comune" nella gestione dei flussi migratori, che armonizzi le varie legislazioni nazionali, vada al di là dell' emergenza e veda gli Stati membri uniti in un' azione di cooperazione allo sviluppo nei Paesi di provenienza».

Quali interventi reputa necessari a livello globale?
«È necessario un approccio globale che dovrebbe portare a una politica comune su migrazioni e protezione internazionale. Si dovrebbe rivedere la convenzione di Dublino. Una proposta potrebbe essere il reciproco riconoscimento dello status di rifugiato fra tutti i paesi dell' area Schengen. Bisogna impegnarsi anche a favorire i ricongiungimenti familiari».

Come crede che si debba gestire invece l'accoglienza?
«Bisogna accogliere chi sbarca sulle nostre coste, integrando queste persone sul territorio, attraverso strutture piccole, a misura d' uomo, in grado di far fronte alle esigenze di tutti.
Nei centri in cui vengono accolti tutti insieme migliaia di profughi, è molto più difficile andare incontro ai bisogni di ciascuno. Sarebbe auspicabile invece incrementare il Sistema di Protezione per i Rifugiati e Richiedenti asilo, che favorisce l' integrazione anche perché garantisce un numero massimo di migranti per le città e individua per ogni migrante un percorso personalizzato in cui sono a loro disposizione anche borse lavoro, tirocini formativi, corsi di italiano, ed altri strumenti di integrazione».

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