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Gli occhi del mondo e dell'Europa sono puntati sulla Grecia: un si o un no che potrebbe cambiare tutto

ATENE. L'Europa segue con il fiato  sospeso la vigilia del referendum in Grecia, così importante per  il destino del governo di Atene, ma anche per gli equilibri  politici ed economici interni all'Unione. Non è un mistero che i  vertici di Bruxelles sperino in una chiara affermazione del 'si«  che segnerebbe inevitabilmente una secca sconfitta del governo  di Tsipras, accusato di essere ormai un interlocutore  inaffidabile. Lo stesso vale per tutte le cancellerie europee,  preoccupate che un eventuale successo del radicalismo di Syriza,  possa aggravare la crisi dell'Eurozona.

Jean Claude Juncker, la settimana scorsa, a caldo dopo la  rottura, ha apertamente chiesto un voto a favore dell'intesa.  Una mossa inedita e molto sofferta da parte del presidente della  Commissione Ue, che ha infranto la consuetudine della neutralità  dei vertici europei di fronte a una consultazione interna in uno  Stato membro. E ieri ha ripetuto il punto: "Se i greci voteranno  'nò - ha detto l'ex premier lussemburghese - la posizione della  Grecia sarà drammaticamente indebolita«. Per poi aggiungere che  »anche nel caso« in cui il risultato del referendum greco »sarà  sì, il negoziato sarà difficile«. Insomma, che vinca il si o il  no, comunque vada il referendum di domani, tutti a Bruxelles  sono consapevoli che da lunedì si ripartirà con un confronto che  sarà comunque aspro e pieno di insidie. Tuttavia la parola  d'ordine oggi sembra quella di gettare acqua sul fuoco, smussare  le posizioni, mettere a riparo la tenuta dell'Euro e evitare la  radicalizzazione dello scontro. Quindi, da Bruxelles, nessuna  risposta alle bordate che vengono da Atene, dove il ministro  delle Finanze Yanis Varoufakis ha definito con la parola  terrorismo la condotta dei creditori. Su questa linea  prudente, pronta a prendere atto di qualsivoglia esito delle  urne, il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald  Tusk, spesso accusato di essere troppo vicino alle tesi di  Angela Merkel: l'Unione europea - raccomanda intervistato da  Politico Ue - dovrebbe evitare "messaggi drammatici". La  vittoria del no, ammette, "ovviamente ridurrebbe lo spazio ai  negoziati". Di contro, un successo del 'sì avvicinerebbe "una  nuova fase, forse più promettente di prima". Tuttavia,  sottolinea Tusk, non è un voto che chiuderà la porta all'Euro o  al confronto. "Il nostro obiettivo principale è quello di  mantenere l'eurozona unita. Ed è molto chiaro che il referendum  non mette in discussione il mantenimento o meno dell'unione  monetaria. Lo scopo principale - conclude - resta quello di  ricostruire la fiducia con la Grecia". Anche il premier Matteo  Renzi ostenta sicurezza: "Gli italiani non devono avere paura" della crisi greca. "L'Italia non ha paura di conseguenze  specifiche sul nostro Paese". Diverso, infine, il discorso per  il ministro delle Finanze tedesco, il 'falcò Wolfgang Schaeuble  che non esclude l'uscita di Atene dall'Euro: il popolo greco -  dichiara alla Bild - deve decidere se vuole vivere  "con l'euro o  temporaneamente senza".

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