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Giancarlo Cancelleri: «Nella Finanziaria non c’è rivoluzione Si torni al voto al più presto»

«Si approvi subito la finanziaria con i tagli a personale, società partecipate e affitti, poi si lavori alla riforma della legge elettorale e si torni al voto»: è il cronoprogramma proposto da Giancarlo Cancelleri, deputato all’Ars del Movimento Cinque Stelle e tra i big del partito di Grillo in Sicilia, intervistato oggi sul Giornale di Sicilia in edicola.

La finanziaria arriva in Aula: qual è il vostro giudizio sulla manovra?

«Non sembra niente di rivoluzionario, è solo un insieme di operazioni ragionieristiche per fare quadrare i conti, ma se non si smuove il mercato del lavoro, se non si pensa allo sviluppo puntando sulle nostre peculiarità come il turismo, l’agricoltura, non ci sarà mai una ripresa. In commissione Bilancio all’Ars si è andati a rilento, sintomo di una legge che non piace neanche alla maggioranza. Si è andati avanti sempre con la solita logica, rallentare all’inizio per poi arrivare alla fine e approvare la legge in una lunga maratona notturna. È un modo di fare che non ci è mai piaciuto ma che è sempre stata abitudine di questo governo. Tutto questo per nascondere una manovra che non ha contenuti».

L’idea di fondo è che questa finanziaria sarà all’insegna dei tagli. Dove bisogna intervenire per ridurre la spesa?

«Sui tagli, quando sono ragionevoli e ragionati, ci trovano tutti d’accordo. Ma quando ad esempio si presenta l’emendamento per recepire la legge sulla riduzione dei consiglieri comunali e dei loro emolumenti, e tutti i deputati si mettono di traverso dicendo che non si può fare, abbiamo il senso e il metro di quali siano le reali intenzioni di questo Parlamento. Non c’è la volontà di cambiare. Abbiamo assistito a una barricata trasversale che andava da Pd al centrodestra contro una proposta assolutamente di buon senso».

Dove tagliare per fare quadrare i conti?

«È chiaro che se il taglio deve avvenire sulla spesa pubblica deve essere prima la politica a fare la sua parte. Per cui i deputati non dovrebbero lasciare soli sindaci assessori ma per primi devono essere loro a ridursi ancora gli stipendi. Poi a cascata andrebbe tagliato tutto il resto. Sulle partecipate, ad esempio, va fatta un’operazione diversa da quella che sta portando avanti il governo. Crocetta ha riproposto di far salire il tetto per lo stipendio dei dirigenti di alcune partecipate gestite da persone a lui vicine, ma questo è fuori da ogni logica. Le partecipate vanno eliminate, accorpate, in modo da risparmiare su sedi e consigli d’amministrazione. Ci sono società che non fanno nulla, non servono a nulla. Penso all’Arsea, che doveva essere chiusa e ancora non è avvenuto, anzi ha dei costi ma non svolge servizi. È poi possibile tagliare sulle spese per gli affitti. Ci sono decine di immobili della Regione che sono vuoti e altri invece presi in affitto a caro prezzo. Da tempo abbiamo chiesto di fare un inventario e nell’arco di un paio di anni disdire i contratti e utilizzare i locali sfitti della Regione. Per risparmiare chiediamo anche di avviare verifiche sui finanziamenti al trasporto pubblico extraurbano, capire se il rapporto con le aziende sia conveniente e veritiero. Abbiamo chiesto i dati delle singole tratte ma dall’assessorato ci hanno risposto che loro stessi non hanno mai ricevuto i dati. Questo fa pensare che probabilmente anche in questo settore c’è da tagliare».

Qual è la vostra posizione sui tagli ai dipendenti regionali?

«Su questo ambito farei un distinguo: da una parte i dirigenti sui quali anche la Corte dei conti si è pronunciata più volte, dall’altro i dipendenti molti dei quali con stipendi non certo da favola. Il vero nodo resta comunque quello dell’equiparazione dei regionali agli statali, perché non è più possibile utilizzare lo Statuto speciale per essere diversi dalle altre regioni. È un disallineamento con la realtà. Non mi pare di vedere panettieri o avvocati con leggi diverse da quelle dei colleghi di altre regioni. I sindacati devono capire che non si possono più accettare norme di privilegio. A pagare non possono essere sempre e solo i cittadini che con Irpef e Irap devono coprire al massimo per i prossimi 30 anni i mutui contratti per tappare i buchi di bilancio».

Per fare quadrare i conti serve un aiuto da Roma. Qual è la vostra posizione?

«Questa è una partita tutta politica che vede in gioco la credibilità del Pd in Sicilia. Questo perché è in atto uno scontro tra le varie anime del Pd che sta facendo scontare ai siciliani la guerra interna al partito. Oggi Crocetta non è appoggiato dal suo partito e il vero presidente è Baccei in qualità di emissario romano. Lui sta facendo il gioco del governo nazionale su cosa deve essere tagliato tutelando gli interessi del governo Renzi e non del territorio. Pensiamo ai 273 milioni di fondi Pac che tornano a Roma perché non spesi, sono l’ennesima frustata sul debole corpo di questa Regione».

Ritiene concreto il rischio di commissariamento della Sicilia?

«Non ci credo perché sarebbe un atto straordinario, di una potenza incredibile con gravi ripercussioni. Sono convinto che il Pd ha capito di avere perso questa regione per cui nel 2016 torneremo al voto. A riguardo la nostra proposta in questo momento è che questo governo, finita la finanziaria e messi i conti a posto, deve varare una riforma elettorale per dare a chi vince le elezioni la possibilità di andare a governare seriamente avendo una maggioranza e non dovendo ricorrere alla compravendita di deputati, evitando quindi maggioranze come quella attuale legate solo da interessi».

Quale sarà il vostro atteggiamento in Aula sulla finanziaria?

«Abbiamo provato a dialogare in passato col governo ma adesso non ci sono più i presupposti. Più di una volta abbiamo pensato di potere dare il nostro contributo, abbiamo avanzato le nostre proposte ma tutto si è risolto in una bolla di sapone. Le prese in giro non ci piacciono».

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