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La Turchia scambia 180 jihadisti con 46 diplomatici

Accordo con Isis per il rilascio. Nunzio apostolico in Iraq: l’ideologia jihadista non si ferma con le bombe

LONDRA. La Turchia avrebbe scambiato con l'Isis oltre 180 jihadisti, fra cui due britannici, in cambio di 46 diplomatici di Ankara e tre iracheni, rapiti dallo Stato islamico nei mesi scorsi. E' quanto afferma il Times, sottolineando che il governo di Londra giudica "credibile" la notizia.

Sempre secondo il Times, oltre ai 46 diplomatici turchi sono stati liberati dall'Isis anche tre funzionari del personale iracheno: erano stati catturati cinque mesi fa quando i jihadisti avevano preso la città di Mosul, nel nord dell'Iraq. I nomi dei due britannici erano in una lista trapelata al giornale britannico e confermata da fonti nello Stato islamico. I due jihadisti provenienti dal Regno Unito sarebbero lo studente 18enne Shabazz Suleman e Hisham Folkard, di 26 anni.

Nunzio Iraq: ideologia jihadista non si ferma con bombe. "Per quanto riguarda gli interventi della comunità internazionale, io credo che vada tenuto presente che il problema alla radice non si può risolvere con la forza, perché le bombe, l'esercito possono fermare un'aggressione, ma non possono fermare le idee". E' quanto afferma, ai microfoni di Radio Vaticana, il nunzio apostolico in Iraq mons. Giorgio Lingua, parlando delle operazioni per fermare l'avanzata dei jihadisti dello Stato islamico. "Credo, quindi, che le idee, le ideologie che stanno dietro, si possano fermare soltanto con l'educazione - sottolinea -. Per questo credo sia molto importante, a questo livello, il ruolo dei leader religiosi musulmani, per condannare quello che sta avvenendo, per prendere le distanze e, soprattutto, per formare nelle scuole, nelle moschee la gente ad una maggiore tolleranza".

"La situazione è molto preoccupante, innanzitutto dal punto di vista psicologico, dopo quello che è successo a Mosul, in particolare, ma anche nella Piana di Ninive, dove i cristiani sono stati costretti praticamente a lasciare le loro abitazioni o a convertirsi - riferisce mons. Lingua -. In questo momento sono disorientati, perché non possono ritornare nelle loro case. Più il tempo passa, più la frustrazione cresce. Questo, direi, per quanto riguarda i circa 120 mila cristiani, che hanno dovuto lasciare le loro case". "Per quanto riguarda Baghdad - prosegue -, la situazione è come prima: è sempre una città con problemi, con attentati, ma non è peggiorata. Circa 350 famiglie sono venute a Baghdad dal Nord, perché molte avevano dei parenti oppure per fare documenti, passaporti".

"Credo, quindi, sia importante intervenire - aggiunge il nunzio -, per trovare loro condizioni migliori di vita e possibilmente anche un lavoro, se si vuole che restino, altrimenti è chiaro che non possono più vivere a lungo in queste condizioni e saranno sempre più tentati di partire e di lasciare. Il Medio Oriente, quindi, si svuota di una presenza che è millenaria: è dall'inizio del cristianesimo che i cristiani sono lì e sono parte del Paese; hanno contribuito alla costruzione di questi Paesi e ora si trovano in una condizione molto critica". "E' chiaro che ci aspettiamo la pace - dice ancora mons. Lingua -, ci aspettiamo che i cristiani e i musulmani e anche musulmani sciiti e sunniti, e altre religioni presenti, possano ritornare a vivere come fratelli. Questo è un sogno, ma credo che i sogni si possano realizzare con la buona volontà di ciascuno". E a proposito della forza di pace internazionale per fermare la violenza, il nunzio ricorda che "è quello che i cristiani chiedono".

"Anche quando i villaggi vengono liberati, infatti, non si fidano di tornare, finché non si sentono protetti da una forza di pace internazionale - conclude -. Hanno visto la facilità con cui questi jihadisti sono avanzati, sono entrati e temono, allora, che possano ritornare con la stessa forza. Quindi solo se ci sarà una forza di pace internazionale, potranno tornare, almeno per passare l'inverno".

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