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Architettura, una facoltà-museo per raccontare la storia di Palermo

La dotazione Basile-Ducrot: in tutto oltre duemila disegni. E poi c’è il polittico donato dal regista Pietro Carriglio

PALERMO. Quando non c’erano supporti digitali un corso di architettura andava organizzato con modellini, calchi in gesso o pietra, usati come fossero un power point d'oggi. E le tavole sinottiche altro non erano che delle moderne slides. E se oggi per cambiare slides basta un fiat, allora per preparare una lezione occorrevano un paio di mesi: una fatica immane, della quale però godiamo i frutti. Per esempio: i disegni della dotazione Basile, di Giovan Battista Filippo, progettista del Teatro Massimo, e soprattutto del figlio Ernesto, maestro del liberty, sono adesso esposti in un apposito spazio dell'edificio 14 del dipartimento di Architettura, diventato un luogo frequentato dagli studenti ma anche visitato da studiosi e curiosi. La dotazione Basile-Ducrot mette insieme un primo nucleo donato alla facoltà di Architettura da Roberto, figlio di Ernesto negli anni Cinquanta del secolo scorso. Nel 1971 si aggiungono i materiali delle Officine Ducrot, di cui Ernesto era direttore artistico, con le loro ardite soluzioni d'arredo; quindi nel 1992 il fondo ingloba le tavole realizzate da Michelangelo Giarrizzo sotto la direzione di Giovan Battista Filippo Basile: in tutto sono oltre duemila disegni realizzati con tecniche differenti e di vari formati.
Sosteneva Basile-padre: «L'architetto deve essere facile disegnatore, ma un semplice disegnatore non è un architetto». E lui, docente di Storia dell'Architettura presso la Scuola di Applicazione per ingegneri e architetti della Regia Università degli Studi di Palermo, attorno agli anni ’80 dell'Ottocento, non poteva fare a meno del supporto delle gigantesche tavole, realizzate da Michelangelo Giarrizzo, suo assistente, su schizzi del maestro che mostrano fabbriche antiche e medievali, sezioni e vedute prospettiche: un modo per illustrare agli allievi la storia dell'architettura italiana (e non solo).
Ed eccole le lezioni di architettura di Basile, precedute da un suo busto, nello spazio al primo piano del dipartimento: cappelle, cimiteri, mausolei, chiese a più navate d'Oriente e d'Occidente con le loro diversità. Architettura romana del '500, ma anche fiorentina e siciliana. E a quei disegni aggiungeva le parole: «L'architettura essendo quell'arte che provvede al ricovero ed essendo il ricovero tra i primissimi bisogni dell'uomo, non si può parlare della sua origine senza riandare alle condizioni primitive del genere umano».
Spiega Maurizio Carta, vice direttore del dipartimento di Architettura di Palermo: «Lui viveva e produceva in una Palermo popolata da creativi ma anche da una borghesia colta e illuminata, e fornita di maestranze incredibili. Il solo genio di un architetto non sarebbe bastato, un'intera città era in sintonia con lui».
Il mini-museo, chiuso sul lato principale da una grande vetrata, si apre con il plastico del dipartimento, un tempo facoltà, mai realizzato interamente: è rimasto il corpo centrale ma non si è costruita la scalinata, né l'enorme edificio previsto che avrebbe lasciato un bel segno architettonico. Il corpo basso attuale contiene quasi la totalità del dipartimento, il resto è ospitato dall'edificio 8 sempre all'interno del "campus" di viale delle Scienze: qui ha il suo ufficio Marcella Aprile, direttore del dipartimento di Architettura: «Non siamo nati oggi: esistono una scuola e una tradizione di architettura a Palermo e, partendo da esse, abbiamo ereditato una grande quantità di materiale che questa storia racconta e che è diventato nostro patrimonio, una identità di cui vogliamo prenderci cura, pur con le evidenti difficoltà economiche. La collezione Ducrot è l'unica completamente catalogata e visibile durante "La vie dei Tesori", la manifestazione che ogni anno apre luoghi solitamente non visitabili per alcuni weekend, o su appuntamento, grazie al personale della Biblioteca, altro bel "rifugio" per i nostri studenti, che si presta ad aprire lo "scrigno". Negli anni '80, con un grosso finanziamento di cinquecento milioni di lire, che allora erano tanti soldi, abbiamo restaurato le grandi tavole sinottiche dipinte e abbandonate e realizzato l'allestimento di una collezione scientifica in grado di salvaguardare i saperi di architetti che hanno lavorato in Sicilia. Da un po' di anni, prima come dipartimento di Storia e Progettazione, adesso come dipartimento di Architettura siamo soci della Società degli Archivi di Architettura e disponiamo di buone collezioni. Abbiamo anche il modello smontabile della Mole Antonelliana, quella originaria dell'ingegner Antonelli, arrivata qui per l'Expo e mai più reclamata: era in un sottoscala, un collega l'ha fatta restaurare, quando ce lo potevamo ancora permettere economicamente, e ora è esposta nell'edificio 8».
Attorno al monumento torinese, rilievi e restauri, anche quello della cattedrale di Palermo. Poi apri una porta e trovi un "ricovero" di fregi, calchi in pietra e gesso, inventariati e in attesa di essere sistemati: «Per alcuni - continua la Aprile - siamo riusciti a far realizzare delle basi, ma occorrono ancora almeno 10/15 mila euro per continuare. Possediamo anche cinque o sei archivi cartacei, con i disegni originali, e speriamo di acquisirne altri».
Certo è dura, se è appena scaduto il contratto a tempo dell'unica archivista e di rinnovo non se ne parla. Ma la Aprile è ottimista: «Alcuni interventi siamo riusciti a portarli avanti, altri cercheremo di farli prossimamente».
Di nuovo all'edificio 14 per una visita all'aula magna, dove vengono proclamati i neo laureati: alle spalle delle poltroncine rosse domina un polittico di Pietro Carriglio: il regista nel 2013 ha ricevuto dall'Università di Palermo la laurea honoris causa per essere stato professore a contratto di teatro del dipartimento e per certe sue scenografie che si ispirano all'architettura. Successivamente, l'ex direttore del Teatro Biondo Stabile di Palermo ha donato, in memoria di Michele Argentino, «Elsinore», un polittico di sette metri per tre, composto da sedici grandi frammenti colorati, dove il castello di Amleto, è capovolto in evidente metafora. Fuori dalla porta dell'aula, spicca un disegno realizzato su un lenzuolo dai bambini di una scuola elementare che, su idea di Antonio Presti, hanno dipinto come immaginano il fiume Oreto.
Bisogna lavorare sui più piccoli per «evitare di rifarci barbari», come direbbe un certo Giovan Battista Filippo Basile.

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