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Riforme, Renzi rafforza il patto con Berlusconi

Il leader di Forza Italia a Palazzo Chigi, a colloquio col premier che dice: l’intesa tiene. Grillo: incontra un pregiudicato e non noi. Resta il nodo delle preferenze, ma l’Italicum è blindato. Dalla camera via libera ai fondi per pagare 32 mila esodati

ROMA. Parla a nuora perchè suocera intenda, Matteo Renzi. E se dopo il faccia a faccia di due ore sulle riforme con Silvio Berlusconi, il premier dice a voce alta che il «patto del Nazareno» tiene, che le riforme si faranno, è anche per farsi sentire bene da Berlino ed oliare la trattativa sui margini di flessibilità necessari alla crescita in Italia.
Chi si innervosisce della sigillata intesa Renzi-Berlusconi è invece ancora una volta Beppe Grillo, relegato al ruolo di interlocutore non privilegiato. Al pari di tutti gli altri chiamato al confronto, ma senza fretta, Grillo si sfoga in un fuori onda in tv, dove dà al premier del «presuntuoso» e «bambino», ma poi ammette: «Renzi prima non rappresentava un cazzo, adesso rappresenta 10 milioni», dunque bisogna parlarci per forza. «Sulle riforme appoggeremo o non appoggeremo. Dipende delle proposte. La nostra legge è costituzionale, quella fatta dai loschi no. Vogliamo le preferenze», tenta di piantare paletti il leader M5s. Concetto che viene sostenuto dall'area riformista del Pd, con Alfredo D'attorre che avverte: qualsiasi accordo con Silvio Berlusconi che non preveda i collegi o le preferenze «è inesigibile». Renzi però sembra intenzionato a seguire FI su questo punto, e a «blindare» l’Italicum. «Le preferenze spariscono dai radar, chi si era galvanizzato si adeguerà», spiegano i suoi fedelissimi. L'incontro con i pentastellati è comunque fissato per lunedì (dopo la provocazione di Grillo sul suo blog: «Renzi incontra un pregiudicato. E noi? L’Italicum è incostituzionale»), ma il premier prima stringe i bulloni dell'accordo con il Cavaliere, davanti ad un caffè nel suo appartamento a Palazzo Chigi. Stavolta il crisma dell'intesa è ancora maggiore, data la sede istituzionale.
A Palazzo Chigi Berlusconi arriva di buon mattino, insieme a Gianni Letta e Denis Verdini. Matteo Renzi lo aspetta insieme a Lorenzo Guerini e ottiene il via libera definitivo alla riforma del Senato (il cui iter procede spedito a Palazzo Madama) entro l'estate e in parallelo l'inizio della discussione sull'Italicum. Per ora - sia nel colloquio con i consiglieri sia in quello successivo a quattr'occhi - non si discute né di presidenzialismo (per il premier difficile da realizzare adesso) né di preferenze (che Forza Italia non vuole). «È confermata invece l'elezione di secondo grado del futuro Senato», spiegherà poi il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi.
Non è dato sapere quanto spazio trovino nella lunga conversazione tra Renzi e Berlusconi altri temi (dalle vicende personali e giudiziarie del Cavaliere allo scottante tema dell'immunità ai parlamentari). Di certo Berlusconi arriva di buon umore alla riunione convocata per spiegare l'intesa ai suoi parlamentari (anche a quelli non entusiasti) e scherza così: «La sinistra è fortunata, sotto un cavolo si è ritrovata un leader...».
Chi invece non ha affatto voglia di scherzare è Beppe Grillo (anche lui a Montecitorio per incontrare i suoi) di fatto relegato ad un ruolo marginale dalla scelta di Berlusconi di occupare la scena delle riforme nelle vesti di padre della Patria. Ma Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd, in vista di lunedì mette le carte in tavola: «Siamo pronti a incontrare il Movimento 5 Stelle anche subito, ma serve una risposta pubblica alle nostre proposte. Ad oggi non abbiamo ricevuto un riscontro che consenta di proseguire in maniera trasparente questo confronto. Speriamo che arrivi presto».
Intanto va avanti spedito l'esame degli emendamenti in commissione Affari Costituzionali al Senato. E la principale novità emersa dal voto sulle riforme da parte della commissione Affari costituzionali del Senato, c’è il rafforzamento del principio della «ghigliottina»: il governo avrà la certezza che i propri disegni di legge saranno votati dalla Camera entro 60 giorni, senza così dover ricorrere di continuo ai decreti d'urgenza. Per bilanciare questo rafforzamento dei poteri dell’esecutivo è stato però approvato anche un emendamento che assicura garanzie alle opposizioni, che potranno fare un ricorso preventivo alla Corte costituzionale sulle future leggi elettorali. Il ddl Boschi sulle riforme pone dei limiti all'utilizzo dei decreti, così come aveva chiesto di fare la Corte costituzionale: a questo strumento si dovrà ricorrere davvero solo quando ci sono casi di «necessità e urgenza», mentre attualmente i governi - per avere la certezza sui tempi di voto - ricorrono al decreto anche per varare riforme. La cOmmissione riprenderà i lavori martedì mattina, quando verranno votati i punti rimasti in sospeso in attesa proprio dell'incontro di ieri tra Renzi e Berlusconi, a cominciare dal Senato non elettivo. Intanto, la Camera ha approvato la proposta di legge che indica le risorse per la salvaguardia di 32 mila lavoratori esodati. Il testo ora passa al Senato.

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