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Stato-mafia, il teste smentisce trattativa per il recupero di opere d'arte rubate

 PALERMO.  La presunta trattativa per il recupero delle opere artistiche rubate, condotta secondo l'accusa, dai carabinieri e Cosa nostra, col tramite dell'eversore nero Paolo Bellini, è stata oggetto dell'udienza di oggi del processo sul patto che pezzi delle istituzioni avrebbero stretto con la mafia a cavallo delle stragi del '92.   Il teste citato dai pm, il maresciallo Roberto Tempesta, all'epoca in servizio al Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dell'Arma ha smentito il racconto di Bellini che aveva riferito di avere imbastito un dialogo, per conto dei boss, col Ros dei carabinieri promettendo il recupero di 17 quadri rubati in cambio degli arresti ospedalieri per cinque capimafia di prima grandezza come Luciano Leggio, Bernardo Brusca e Pippo Calò.   
«Andai da Mori (ex vicecapo del Ros tra gli imputati al processo trattativa ndr) - ha detto Tempesta - e gli dissi che Bellini, che avevo contattato per ritrovare opere d'arte rubate dalla Pinacoteca di Modena, aveva proposto di infiltrarsi in Cosa nostra, grazie alle sue conoscenze. Bellini mi aveva proposto di farmi recuperare 17 dipinti, di cui mi mostrò le foto, e in cambio, per conto della mafia, chiese gli arresti ospedalieri o domiciliari per cinque padrini».   
«Ma Mori - ha continuato Tempesta smentendo la ricostruzione di Bellini - sostenne che era assolutamente impraticabile perchè si trattava di esponenti del Gotha di Cosa nostra».    L'udienza è stata rinviata al 29 maggio.

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