CALTANISSETTA. Il ”trucco”, per linee generali, era lo stesso. Con una sorta di suddivisione per uffici, in più casi materialmente per stanze. Con un meccanismo di ”passa badge magnetico” da un dipendente all’altro. Per coprirsi, l’un l’altro, durante i momenti di presenza fantasma in ufficio. Così vi sarebbe stato chi, al mattino, avrebbe timbrato il cartellino magnetico per sé e altri colleghi, mentre questi, magari, uscivano da casa con più calma, passando pure dal bar a prendere un caffè o al mercato a fare compere. Lo stesso sistema, a turno, sarebbe stato utilizzato anche all’orario di uscita. Gli altri sarebbero andati via prima dell’orario dovuto e l’ultimo avrebbe sottoposto i tesserini, suo e di altri, al passaggio sotto l’orologio marcatempo. Così tutti, almeno sulla carta, sarebbero risultati presenti. Altri ancora - è sempre uno degli aspetti che emergerebbe dall’inchiesta di procura e carabinieri - durante le ore di lavoro avrebbero lasciato l’ufficio, magari per fare compere - secondo la tesi accusatoria - senza registrare il periodo di uscita. Ma nel gran calderone dell’indagine vi sarebbero pure giorni di ferie a sbafo e permessi che, a fari spenti, sarebbero passati nel dimenticatoio. Tutti episodi - tra fine 2012 e inizio del 2013 - che sarebbero stati filmati, peraltro, da telecamere nascoste. Che in un primo momento sono state collocate - per quanto riguarda l'ufficio tecnico comunale - in due ingressi, perché ritenuti gli unici, mentre poi sono state sistemate anche in una terza uscita.
Questo il quadro generale tracciato dall’inchiesta antiassenteismo al Comune e che ha interessato dipendenti dell’Ufficio tecnico, vigili urbani e impiegati civili del corpo di polizia. In un’indagine effettuata dai carabinieri e coordinate dal sostituto procuratore Santo Di Stefano che, alla fine, ha chiesto l’applicazione di venti misure cautelari che concretizzerebbero negli arresti domiciliari, mentre per altri sedici indagati è legato alla sospensione dell’esercizio di un pubblico ufficio o servizio.
In totale sono 36 gli indagati (dei quali volutamente, così come già nell’edizione di ieri, per rispetto alle indagini e agli stessi indagati non pubblichiamo i nomi ndr.) tirati in ballo, a vario titolo, per i reati di reati di truffa in concorso in danno della pubblica amministrazione e falsa attestazione della presenza in servizio commessa da pubblico dipendente.
Richieste, quelle avanzate dalla magistratura, che affondano le radici in indagini dei carabinieri del Norm sotto la guida del capitano Domenico Dente e del tenente Antonio Corvino. Ma il Gip, sull’onda lunga del decreto Brunetta e delle nuove normative in tema di reati contro la pubblica amministrazione, ha disposto prima una serie interrogatori a cui dovranno sottoporsi i trentasei (assistiti dagli avvocati Giuseppe Panepinto, Walter Tesauro, Calogero Buscarino, Ernesto Brivido, Giuseppe Dacquì, Dino Milazzo, Sergio Iacona, Michele Micalizzi, Sonia Costa, Cristian Morgana, Davide Schillaci, Massimo Dell'Utri, Giovanna Giglio ed Alberto Fiore).
Secondo la stessa procura ad un certo punto vi sarebbe stata una fuga di notizie e il comportamento dei dipendenti - come documenterebbero le immagini ”catturate” dai carabinieri - sarebbe radicalmente mutato. Ma qualcuno, con cautela, avrebbe proseguito in quell’atteggiamento che sfocia in assenteismo.
Sullo sfondo la posizione di alcuni impiegati - tra istruttori direttivi tecnici e istruttori amministrativi - che per il ruolo ricoperto sono autorizzati ad effettuare servizi esterni, pur con obbligo di timbrare l’orario d’ingresso in ufficio, ma non in uscita proprio per le funzioni specifiche. Da qui l’ipotesi della falsa attestazione della presenza in servizio che differisce da quella di truffa aggravata.
Tra le pieghe della richiesta per l’applicazione delle misure cautelari, la procura, passando per un calcolo che si basa sulle presunte assenze degli indagati, ha pure tracciato uno spaccato del presunto danno sul totale retribuito agli stessi impiegati, che giunge a superare pure il tetto del 31 per cento.
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