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Stato-mafia, Spatuzza: "Don Pino Puglisi voleva il nostro territorio, così lo abbiamo ucciso"

PALERMO. «Purtroppo, e mi dispiace tantissimo,  ho commesso, con vari ruoli, una quarantina di omicidi».  Comincia così, con la confessione dei delitti a cui ha  partecipato, la deposizione del pentito Gaspare Spatuzza che sta  testimoniando al processo sulla trattativa Stato-mafia. Tra gli  assassinii commessi il collaboratore cita quello di don Pino  Puglisi, il sacerdote di Brancaccio ammazzato nel '93.  «Padre Puglisi voleva impossessarsi del nostro territorio. -  ha raccontato - Prima lo controllammo, poi si decise di  ucciderlo. Volevamo simulare un incidente perchè sapevamo che un  omicidio di un prete avrebbe avuto conseguenze, poi però optammo  per il delitto classico» «Era un sacerdote che andava per conto  suo - ha raccontato - E dava fastidio. Quella della sua  eliminazione era una pratica aperta da almeno due anni».  «In piena campagna stragista - ha spiegato - nonostante  avessimo sospeso le attività ordinarie, dovemmo occuparci di don  Puglisi: questo per fare capire quanto dava fastidio».  Spatuzza fu tra gli esecutori materiali del delitto insieme a  Salvatore Grigoli. «Si decise di simulare una rapina - ha detto  - Usammo una pistola di piccolo calibro per dissimulare la mano  mafiosa». «Un capomafia - ha spiegato - non poteva tollerare che  un prete si muovesse per conto suo e doveva dimostrare chi  comandava a Brancaccio».   


"STRAGE DI VIA D'AMELIO? NON CONOSCO CHI PREPARO' ATTENTATO" - «Non era un ragazzo, nè un  vecchio. Doveva avere 50 anni. Non l'avevo mai visto prima, nè  lo vidi dopo quella volta. Di certo non era di Cosa nostra».  Con queste parole il pentito Gaspare Spatuzza descrive il misterioso uomo incontrato  il giorno prima della strage di via D'Amelio nel garage in cui  venne portata la 126 imbottita di tritolo e fatta poi esplodere.  «In questi anni - ha aggiunto - mi sono sforzato di dare  indicazioni su di lui, ma lo ricordo come un negativo sfocato di  una foto». Il personaggio, ancora non identificato, partecipò  dunque alla fase preparatoria dell'attentato al giudice Paolo  Borsellino e agli agenti della scorta, secondo il pentito.  Spatuzza ha descritto il suo ruolo nel furto della 126 e  delle targhe da sostituire e nel trasferimento della macchina da  Brancaccio al garage nella zona della Fiera di Palermo, a poca  distanza da Via D'Amelio. «Non mi allarmò la presenza di quell'uomo - ha raccontato -  perchè se era lì era perchè Giuseppe Graviano (il boss di  Brancaccio ndr) lo voleva». Negli anni gli inquirenti hanno  sospettato che il personaggio descritto dal pentito appartenesse  ai Servi segreti o fosse l'esperto usato dalla mafia per gli  aspetti tecnici dell'attentato.   


"VOLEVAMO RAPIRE ARDIZZONE" - «Dopo le stragi di Roma e Milano nel  '93, progettammo dei sequestri di persona per finanziare la  nostra attività: avevamo già scelto gli obiettivi e i  nascondigli. Dovevamo rapire il nipote di un imprenditore che  aveva una fabbrica di argenteria a Brancaccio  e il proprietario  del Giornale di Sicilia Ardizzone». Lo ha detto, deponendo al  processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito Gaspare  Spatuzza.    «Il piano, che poi fu accantonato, era in fase avanzata - ha  aggiunto - E Graviano con una battuta mi disse: 'affidiamo i  sequestrati ai latitanti, gli diamo un pò di lavorò».  

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