PALERMO. Per quasi 3 anni 5 milioni di euro confiscati con sentenza definitiva a Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, l'ex sindaco mafioso del sacco edilizio di Palermo, sono rimasti in una cassaforte di una banca svizzera. L'autorità giudiziaria italiana - gli stessi magistrati non sanno bene chi di loro dovesse intervenire - si è semplicemente dimenticata di recuperare la somma passata nel patrimonio dello Stato dopo la condanna per riciclaggio inflitta a Ciancimino jr nel 2011. I 5 milioni di euro, depositati su un conto di un istituto di credito di Lugano, sarebbero parte dello smisurato tesoro di don Vito, riciclato appunto dal pargolo dell'ex primo cittadino. Una dimenticanza, quella dei giudici, che a breve avrebbe potuto far tornare il denaro nelle tasche dell'aspirante testimone di giustizia, sotto processo per concorso in associazione mafiosa e calunnia al processo sulla trattativa Stato-mafia e pluri-indagato dalle Procure di mezza Italia. Solo la segnalazione del procuratore di Lugano al gip di Palermo Gioacchino Scaduto e al pm Carlo Marzella ha evitato che i soldi venissero restituiti.
La sentenza definitiva che ha condannato Ciancimino a 2 anni e 8 mesi per riciclaggio dispose la confisca, oltre che del denaro, di un immenso patrimonio che comprendeva immobili, titoli, uno yacht e polizze assicurative. Il figlio dell'ex sindaco era accusato anche di intestazione fittizia di beni, imputazione che venne invece dichiarata prescritta. Per un difetto di coordinamento tra magistrati, dunque, dal passaggio in giudicato del verdetto il denaro è rimasto in Svizzera. Ora, il gip Scaduto tramite rogatoria al ministero della Giustizia, ne ha chiesto la restituzione. Anche se parte della somma resterà oltralpe a titolo di commissione come prevede la legge svizzera. La stessa legge che consente all'interessato di riprendersi il denaro se l'autorità giudiziaria non se ne impossessa entro un certo termine.
Processato in abbreviato, Ciancimino ebbe uno sconto di pena in appello e poi in Cassazione. Il processo ruotava attorno al patrimonio illecito accumulato dall'ex sindaco. Insieme a Ciancimino finì alla sbarra il tributaria Gianni Lapis, radiato dall'Ordine dopo la condanna. Lapis, secondo gli inquirenti intestatario fittizio di quote delle società del gruppo Gas, in realtà di don Vito, avrebbe versato sul conto svizzero Mignon il ricavato della vendita delle partecipazioni societarie: da qui, per il legale, l'accusa di riciclaggio in concorso con Ciancimino che avrebbe reinvestito il denaro ricavato dalla cessione. Insieme a Ciancimino jr venne condannato anche l'avvocato Giorgio Ghiron, morto nel 2012.
«Oggi scadevano i termini per poter presentare un ricorso per un'eventuale restituzione dei beni dopo il mio proscioglimento dal reato di riciclaggio da parte delle autorità svizzere- ha dichiarato Ciancimino - ma già una richiesta per il sequestro era stata prontamente inoltrata dalla sezione Misure di prevenzione presieduta dalla dottoressa Saguto, che ha sempre tenuto con estrema rigidità e serietà sotto controllo tutti i beni inerenti allo pseudo tesoro di Vito Ciancimino, di cui farebbero parte anche quei cinque milioni».
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