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Quelle riforme che il paese aspetta

Si marcia a grandi passi verso un nuovo governo. Speriamo che sappia fare di più e meglio del precedente. Il Renzi I nasce con il proposito di durare a lungo e, per il bene del Paese, bisogna augurarselo. Così sarà possibile ritrovare un po’ di stabilità. Sembra, infatti, di essere tornati ai giorni più oscuri della Prima Repubblica quando i governi duravano in media un anno. Con Renzi siamo al terzo in due anni e mezzo e ad accomunarli l’assenza di un consenso popolare. Esattamente l’opposto della missione che diciotto anni fa era stata assegnata alla Seconda Repubblica.
Più dei precedenti, il passaggio da Letta a Renzi ha l’aspetto di un’operazione di palazzo e dunque il nuovo esecutivo dovrà moltiplicare gli sforzi per far dimenticare il peccato originale. A onore della verità va anche detto che la staffetta è stata agevolata dall’esaurimento della spinta dell’attuale esecutivo. Come ricordavamo ieri su queste colonne le ragioni della sua esistenza erano venute meno.
Era nato per completare entro diciotto mesi la riforma elettorale e quella costituzionale. Per questo a sostenerlo c’era una maggioranza molto ampia. In meno di un anno tutto è cambiato: le larghe intese si sono ristrette fino al limite della sopravvivenza (almeno al Senato) e ovviamente di riforma delle istituzioni non parla più nessuno.
La riforma elettorale di cui si discute non è quella del governo (che per la verità non ha formulato mezza proposta) ma di Matteo Renzi. Dunque non deve stupire se un progetto vivo prenda il posto di un governo morto. Ma di che cosa vivrà il nuovo esecutivo? Le incertezze non mancano a cominciare dalla maggioranza che dovrà sostenerlo. Sarà la stessa di oggi (e allora perché la staffetta)? Oppure un secolo e mezzo dopo Agostino Depretis anche a Matteo Renzi toccherà di volta in volta dare forma ad una maggioranza a perimetro variabile? Lo sapremo nelle prossime ore. Quello che preme di più è il contenuto del programma. Perché la riforma elettorale e quella istituzionale, a cominciare dall’abolizione del Senato e delle Province, cambiano le regole del gioco ma non servono, se non sul lunghissimo periodo, a imprimere un nuovo passo all’economia.
Invece, come ha ricordato ancora ieri il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, serve una scossa forte e immediata. Tuttavia la crescita economica e i posti di lavoro non si creano per decreto e nemmeno con la spesa pubblica. Ormai lo Stato non è più in condizioni di spendere: può solo aumentare i propri debiti. Bisogna ripartire dall’impresa dando maggiore flessibilità e facendo scendere le tasse. Solo lasciando più soldi nelle tasche degli italiani sarà possibile invogliarli verso maggiori consumi.
E solo se gli italiani comprano di più le imprese sono spinte ad aumentare la produzione e assumere altri lavoratori. Il circolo virtuoso può nascere solo così. Ogni altro tentativo è destinato al fallimento. Ma per tagliare le tasse a cominciare dal cuneo fiscale (il differenziale fra il costo per l’azienda e lo stipendio netto) bisogna che il governo riduca la spesa pubblica. Letta non ce l’ha fatta.
E Renzi? Al riguardo il sindaco di Firenze deve usare parole chiare. Metta su un foglio obiettivi e date, come dice essere sua abitudine. Dica come cambierà la legge elettorale e quando. La data della scomparsa del Senato e delle Province. Ma soprattutto: la scadenza per il taglio delle tasse e della spesa. Senza di questo, avremo un governo del nulla. In un Paese che sempre di più arranca.

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