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Democratici, va in scena il gioco delle parti

Ah, come si sarebbe divertito Luigi Pirandello ieri alla direzione del Pd! «Così è (se vi pare)». Oppure: «Il gioco delle parti». O ancora: «Uno, nessuno, centomila». Sia Renzi che Letta hanno evitato di pronunciare la parola «rimpasto» o di dare un giudizio sull'operato del governo, che dall'Epifania dominano i retroscena politici. Se Pirandello fosse piombato da Marte sul Nazareno avrebbe trovato il segretario del Pd, azionista di maggioranza del governo, impegnato a portare avanti finalmente le riforme elettorale e costituzionale di cui si parla rispettivamente da 8 e 30 anni.  E un presidente del Consiglio impegnato a risolvere entro l'anno larga parte della crisi sociale e a fare le riforme di corsa. Nessun dissenso su nulla. Ma Pirandello, si sa, è stato il primo retro scenista moderno. E un maestro nel descrivere quel che appare diverso da quel che è. E quel che si dice uguale a quel che si pensa di pensare, ma in realtà assai diverso. La verità politica di quel che è accaduto ieri (finalmente discorsi brevi e chiari, almeno nell'esposizione, se non nel retro pensiero) è che Letta ha accettato di rinviare all'approvazione della legge elettorale e all'avvio concreto delle riforme costituzionali il redde rationem sull'efficienza del governo.
Ha guadagnato tempo, insomma, visto che Renzi non è disposto a firmargli nessuna cambiale in bianco. La maggior parte dei politici, degli imprenditori e degli osservatori ritiene che le debolezze del governo non siano facilmente superabili e a mezza bocca sollecita Renzi a prendere il posto di Letta. Ma il sindaco di Firenze ha sul comodino il fantasma di Massimo D'Alema, accusato di aver pugnalato Romano Prodi (con l'aiuto di Franco Marini) per prenderne il posto a palazzo Chigi nell'ottobre del '98. Dunque, niente colpi di mano. Vorrebbe guadagnarsi la presidenza con le elezioni, ma teme di arrivarci molto indebolito se si svolgessero nella primavera del 2015. (Più preoccupato di lui è Angelino Alfano che ci arriverebbe morto, se le cose non cambiassero).
Letta dice, giustamente, che non ha intenzione di galleggiare, ma se non si toglie di dosso quattro o cinque piombi finirà a fondo. Me li tolga Matteo, chiede lui. Se li tolga da solo, ribatte Renzi che non vuole sporcarsi le mani con un governo rattoppato. Anche se nella replica di ieri sera ha sfidato la direzione del partito a dedicare la seduta del 20 febbraio a dare un giudizio sul governo. Sarà l'occasione per aprire una crisi? Chissà. Vedremo intanto nelle prossime settimane quale sorte avrà il cocktail di riforme e riforma del lavoro proposto da Renzi. E se Letta avrà il coraggio di ottenere dall'Unione europea l'attenuazione dell'austerità suicida denunciata a Bruxelles da Napolitano e condivisa ormai dalla larga maggioranza dei paesi dell'area euro.
A proposito di Napolitano, si sa che il capo dello Stato è stanco: ha accettato di restare al Quirinale per garantire governabilità e riforme. Ha blindato Letta, si dice, ma se si dovesse arrivare a un cambio di governo, lascerebbe. Il candidato naturale alla successione, con questo parlamento, è Romano Prodi. Ma molti hanno visto una mossa astuta nell'incredibile gesto di Piero Grasso di smentire il proprio consiglio di presidenza sulla costituzione di parte civile del Senato contro Berlusconi. E se su di lui si formasse l'asse Pd-Sel-Grillo che non si formò su Prodi? [email protected]

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