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Il cibo tipico spiegato ai turisti Ecco la Palermo che fa gola

Cresce l’interesse per i tour enogastronomici: la città raccontata non solo attraverso i suoi monumenti, ma anche da chi vende i prodotti di strada

PALERMO. Si chiama Streat Palermo Tour ma non è un errore di ortografia. È invece un nuovo modo di fare conoscere la città, di farla apprezzare non solo per monumenti e angoli suggestivi ma anche per la sua cucina tradizionale. E a farla da padrone è il cibo da strada. L’idea è di Marco Romeo, palermitano, 31 anni. Parla inglese, spagnolo e arabo. Ha girato il mondo, ma alla fine è tornato a Palermo. E ha deciso di raccontarla ai turisti sotto il suo personalissimo punto di vista.
«Per me – spiega Marco – questo progetto significa condividere con i turisti la Palermo di strada, con le sue piccole emozioni. I partecipanti non sono clienti ma amici con cui fare una passeggiata». I turisti, soprattutto stranieri e soprattutto over 60, lo trovano grazie al passaparola, ai consigli dei B&B, alle recensioni di Tripadvisor. Sul sito www.streatpalermo.it ci sono tutte le informazioni necessarie.
Il tour (su prenotazione, massimo 8 partecipanti) inizia alle 10,30, davanti al Teatro Massimo. Mentre gli stranieri guardano incantati i leoni, Marco li guida verso il Capo. All’ingresso è un tripudio di colori, di suoni, di odori. Marco spiega a Sue e Rosemary, due amiche londinesi in visita a Palermo, come si cucinano le zucchine, quelle lunghe di colore verde chiaro. Si fermano davanti ai pomodorini di Pachino e ai fichi d’India, vogliono sapere tutto di saraghi e cefali, chiedono perché sui banchi non ci sia il tonno.
Prima tappa alla Friggitoria Arianna, per assaggiare panelle, crocchè ed arancine. Marco spiega alle turiste le origini e le tradizioni legate a queste specialità.
Dopo un’occhiata alla Chiesa dell’Immacolata Concezione al Capo, il giro prosegue, ci si addentra per i vicoli della «Bucceria vecchia», verso Sant’Agostino. All’angolo con via Maqueda, Mario Cannatella scalda lo sfincione doc, morbido e profumato. Un mestiere di famiglia, il nonno e il padre di Mario, prima di lui, hanno preparato lo sfincione con salsa di cipolla e pomodoro fresco, lasciato a riposare perchè sia ancora più buono. Mario parla, racconta anedotti e curiosità. Ripete il detto «scarsu r’ogghiu e chinu i pruvulazzu», l’abbanniata più tipica dello sfincionaro palermitano.
Si prosegue lungo via Bandiera, fino a piazza San Domenico e giù, per via dei Maccheronai, verso la Vucciria. Lungo la strada Marco recita proverbi in dialetto, mostra alle ospiti la Palermo dei palermitani, non quella da guida turistica. Dietro il banco della Taverna Azzurra da trent’anni lo zio Totò, come lo chiamano nel quartiere, serve Marsala, Zibibbo e Sangue siciliano, vini liquorosi che le due inglesi apprezzano. Fuori c’è la riffa, di fronte la vecchia bottega dell’arrotino espone l’insegna d’epoca.
La passeggiata continua attraverso i vicoli, piazza del Garraffo e piazza del Garraffello, fino a Piazza Marina, da «Franco u vastiddaru», per il «pane ca meusa». «Single or married», Marco traduce in inglese le due versioni di «schietta» o «maritata».
Il tour prosegue, piazza Bellini e la Chiesa della Martorana, piazza Pretoria e la storia della fontana prima di addentrarsi a Ballarò. Dopo un giro fra le bancarelle, si arriva alla Trattoria del Bersagliere. Il locale è essenziale, il menù propone i piatti delle tipiche «taverne»: la caponata e la pasta alla glassa, l’arrosto alla palermitana e il vino scarraffato.
Ultima tappa alla pasticceria Rosciglione, all’Albergheria, per il cannolo prima di salutarsi davanti alla Cattedrale. Sazi e con il Passaporto del Mangione pieno di timbri, uno per ogni tappa, a testimoniare la giornata.

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