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La Regione e le rendite da lavoro

Si punta a snellire uffici e procedure. Ma se si riducono gli incarichi e si mantengono gli stipendi, i risparmi saltano. Ci vogliono riforme forti, ad esempio, nel campo della spesa pubblica, per contenere troppi sprechi, troppe tasse

Alla Regione, nell’elenco dei privilegi, una voce nuova. Possiamo definirla una sorta di «retribuzione perpetua» dei dirigenti. Il parlamento ha bocciato una ragionevole proposta del governo.
Quella di abolire una strana «clausola di salvaguardia». Che consiste in questo: un dirigente, quando è destinato ad altro incarico, ha diritto a mantenere la retribuzione più favorevole (con differenze minime del dieci per cento), anche quando il nuovo ufficio ne prevede una minore. Leggiamo dalle cronache di Giacinto Pipitone spiegazioni della bocciatura che convincono poco. I deputati Santi Formica (Pdl) e Toto Cordaro (Pid), per esempio, sostengono che così si eviterebbero costosi contenziosi. Curioso: non dicono e non precisano quali. Ma intanto tacciono di un contenzioso che c'è già.
Lo solleva da tempo la Corte dei Conti. La Regione, con una riforma, si è impegnata a snellire uffici e procedure riducendo incarichi. Per avere più efficienza e meno costi. Ma se si riducono gli incarichi e si mantengono gli stipendi, i risparmi saltano. Fatta la legge... Poi l'onorevole Antonello Cracolici afferma che, mantenendo la clausola di cui sopra, si salva l'autonomia dei dirigenti. Autonomia da chi o cosa? L'onorevole Cracolici è politico esperto e informato dei misteri interni alla Regione. Sa quel che dice. Ma a noi, che di essi sappiamo meno, ci pare che quella clausola faccia apparire la Regione autonoma dal buon senso. Se per incarichi diversi, si prevedono compensi diversi, vuol dire che ci sono differenti livelli di impegno e di importanza. Che senso ha omologare le retribuzioni? Forse Cracolici vuol dire che, per evitare spostamento e minor retribuzione, un dirigente, svolgendo l’incarico, potrebbe essere indotto ad accettare pressioni politiche indebite. La clausola lo metterebbe al riparo da questo rischio. Ma il rimedio non è risolutivo. La garanzia di uguale retribuzione favorisce il disimpegno e non induce all'efficienza.
Il modo migliore di attribuire al dirigente un’autonomia vera e virtuosa sarebbe casomai (ma di questo non si discute mai), quello di collegare nomine, spostamenti e retribuzioni ai risultati di merito conseguiti da ciascuno, da valutare in base a paramenti per tutti chiari e da tutti documentabili. Si sarebbe così ad un cambiamento forte. In grado di mettere in equilibrio meriti. efficienza e risparmi. Con la conseguenza non inutile, peraltro, di superare quella pratica distorta delle nomine dove la meritocrazia, talora o spesso, diventa, come denuncia Giovanni Soriano nei suoi aforismi, un «sistema sociale in cui la distribuzione di riconoscimenti e compensi è commisurata al valore della raccomandazione di ognuno» (da Finché c'è vita non c'è speranza).
Invece no. Si cambia, certo. Ma sempre nella linea del maggior costo. Per la Regione e per noi. Normalmente si può vivere di rendita o di lavoro. Alla Regione la retribuzione di lavoro diventa una rendita. Circolava una battuta, leggiamo ancora nelle cronache dall'Ars, durante la notte convulsa in cui si approvava la legge di bilancio: «Mentre il presidente salva i precari, il parlamento salva dirigenti...». Ma nessuno, proprio nessuno, salva mai i contribuenti?

CONSULENTI, MENO SPRECHI E SOGNI DI RIVOLUZIONE

Si è invece ad una buona svolta, alla Regione, nella gestione delle consulenze. Si taglia. E di non poco. Aziende ospedaliere, enti di vario genere legati finanziariamente alla Regione, società partecipate e teatri... Insomma, ovunque circoli denaro della Regione, si potrá procedere d'ora in poi, eccezionalmente, alla nomina di un solo consulente. Sempre che ne sia accertata e motivata la necessità. Nella norma dal vincolo sono esenti gli incarichi strettamente sanitari. E non si dice nulla degli assessorati... Ma si è a un buon inizio. Ed è bene continuare. Ovunque e sempre, le consulenze, sono un spreco. Come mezzo secolo fa, osservava George Pompidou, giá primo ministro e presidente di Francia: «La bancarotta può avere tre cause: donne, scommesse o il consulto di esperti».

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