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Sicilia, terra di opere incompiute

Dighe, piste ciclabili, campi sportivi. Sono 300 i progetti iniziati dalla Regione tra gli anni 80 e 90 e mai ultimati. Numeri rilevati dall'assessorato alle Infrastrutture

PALERMO. Una lunga e comoda pista ciclabile che doveva consentire ad appassionati delle due ruote di raggiungere Trapani da Marsala e viceversa. C’è anche questa fra le 301 incompiute che la Regione ha censito, scoprendo che per ultimarle occorrerebbero almeno 350 milioni. Tutte opere iniziate negli anni Ottanta e Novanta e finite per essere dal punto di vista architettonico scheletri in cemento o poco più.
Oggi sono simboli di sprechi e inefficienze, come segnala l’assessore alle Infrastrutture Andrea Vecchio ripensando alla diga di Blufi che, secondo il progetto del 1990, avrebbe dovuto risolvere una volta per tutte la crisi idrica nella Sicilia occidentale. Il dossier messo a punto dall’ufficio speciale guidato da Fulvio Bellomo individua anche «la capitale delle incompiute». È Giarre che dal 1983 al ’90 pensò a se stessa come a un villaggio olimpico permanente: ecco che furono finanziate e progettate una piscina olimpionica coperta (non completata per il fallimento dell’impresa), un centro polifunzionale, un teatro, una serie di impianti sportivi oggi non fruibili «per scarsa manutenzione», un parco regionale, un teatro e una casa-albergo per anziani.
Il sogno di impianti sportivi all’avanguardia ha attraversato negli ultimi 30 anni decine di paesi e città. Ad Alcara Li Fusi dal ’92 si attende la piscina scoperta (servirebbero 750 mila euro per recuperare il cantiere), ad Alimena si è tentato di trasformare la piscina comunale incompiuta in un centro sportivo polifunzionale ma si è fermato anche questo secondo progetto. A Buseto Palizzolo la palestra polivalente è fatta ma serve un altro milione e mezzo per metterla a punto. La piscina olimpica è rimasta un sogno a Letojanni, Sambuca di Sicilia e Licata. A Santa Flavia si attende ancora il campo di calcio. Per Vecchio, ex presidente dell’associazione dei costruttori etnei, «queste incompiute sono ciò che resta di investimenti senza logica. Sono state create cattedrali nel deserto perchè il principio era quello di far partire un investimento europeo, statale o regionale e approfittarne. Poi, quando la prima tranche di fondi finiva, nessuno chiedeva più niente». Ne è venuto fuori un libro dei sogni. In cui fanno bella mostra di sè intuizioni come il centro di stoccaggio e commercializzazione del fico d’india, finanziato nel ’98 e per cui occorrerebbero almeno altri 100 mila euro. Almeno un milione e 800 mila euro servirebbero per completare la
villa comunale e l’anfiteatro di Alimena. Mentre è rimasto un progetto la strada che doveva collegare Cinisi agli alberghi di Magaggiari, così come il mercato coperto per l’agricoltura di Leonforte.
A Ispica un contenzioso con l’impresa ha bloccato i lavori (iniziati nel 1987) per il nuovo Palazzo della Pretura e l’immancabile campo di atletica leggera con annessa piscina. A Mazzarino si è bloccato il restauro del municipio e a Mineo si attende che venga recuperato il palazzo comunale danneggiato dal terremoto del ’90. Un po’ in tutta la Sicilia a un certo punto si è sognata una rete fognaria all’avanguardia. Poi però a Niscemi l’appalto si è fermato al quarto lotto, a Palermo il collettore fognario è fermo al secondo lotto (come il raddoppio della circonvallazione), a Ficarazzi (nei pressi di Palermo) un contenzioso con l’impresa ha impedito il completamento del risanamento del litorale fra la foce del fiume Oreto e il paese. A Scicli si sono fermati
perfino i lavori per il cimitero. A Taormina è rimasto a metà per mancanza di fondi un albergo per anziani da 60 posti.
Il dossier messo a punto da Vecchio e Bellomo si conclude citando l’appello della Procura della Corte dei Conti: «Al di là delle responsabilità giudiziarie, servirebbe una maggiore attenzione sia nelle previsioni delle opere da realizzare che nella ricerca delle soluzioni che possano consentire il recupero o la definitiva eliminazione di tali strutture. Anche al fine di evitare il danno ambientale».

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