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La Sicilia non può perdere i fondi europei

È il momento che il Parlamento nazionale venga in aiuto della Sicilia. È irrinunciabile, per non perdere i fondi europei, attenuare gli effetti perversi del cosiddetto «patto di stabilità»; un cappio, come vedremo di seguito, che soffoca quel poco di vitalità che resta ancora nell'Isola. È un'esigenza primaria per la Sicilia, che rischia di dovere restituire all'Europa le risorse assegnate e non spese; un danno ed una beffa che non potremmo certo consentirci. La Sicilia ha un bisogno smisurato di investimenti; ha bisogno di lavoro vero ed ha bisogno che il differenziale economico con il resto del Paese non diventi permanente. E invece, dopo tre anni di crisi generalizzata, l'Isola si presenta stremata all'incontro (oggi) con la manovra antideficit e (domani) con il federalismo fiscale. Vediamo di capire perché il patto di stabilità può compromettere l'uso dei fondi europei. Cominciamo dai fondi europei che valgono per la sola Sicilia quasi 11 miliardi di euro, da spendere tra il 2007 ed il 2013. Ebbene, al dicembre scorso, le somme realmente spese dalla Sicilia ammontavano a meno di un miliardo di euro! Come dire che ci restano da spendere 10 miliardi! Per avere un'idea del ritardo, soltanto nel 2011 la Regione dovrebbe impegnare quasi 1,8 miliardi ed oggi corre il rischio, secondo la Corte dei Conti, di dovere restituire almeno 300 milioni. Il perché dei ritardi lo chiarisce la stessa Corte: «L'avvicendarsi di diverse giunte del governo regionale», «l'instabilità riguardante l'assetto organizzativo amministrativo», la «eccessiva polverizzazione delle iniziative» e, dulcis in fundo, «l'assenza di personale provvisto delle necessarie competenze»; vero paradosso in una Regione che affoga nei dipendenti pubblici! E veniamo ora al patto di stabilità. Da dieci anni, tutte le regioni, le province ed i comuni italiani sono chiamati a concorrere al risanamento della finanza pubblica, concordando ogni anno con lo Stato i tagli da effettuare per contenere la galoppante spesa pubblica. Compito questo in vero arduo ma che nel caso della Sicilia - dove la spesa corrente per stipendi e salari avanza come uno tsunami - appare davvero problematico! Come si è detto, i fondi europei hanno una dotazione complessiva di circa 11 miliardi di euro; il 50% arriva dalle casse europee, il 35% dallo Stato e l'ultimo 15% è cofinanziato dalla stessa Regione Siciliana. Ebbene, per scelte incomprensibili delle burocrazie statali, è possibile escludere dal patto di stabilità la quota di finanziamento comunitaria, ma non è possibile farlo per la quota statale e per quella regionale; questo «inghippo burocratico», che obbliga a computare nel patto oltre 5 miliardi di euro, rischia di fare saltare il banco. La Sicilia, infatti, si trova davanti ad una alternativa drammatica: non spendere i fondi per gli investimenti e restituirli all'Europa, perdendo l'ultimo treno per lo sviluppo, oppure spenderli, violare il patto di stabilità e pagare una sanzione pecuniaria pari alla maggiore spesa fatta. Ora, anche a considerare i tempi lunghi della Regione nell'impegnare i fondi europei, tuttavia una riflessione va fatta; si chiama «patto» perché si concorda tra le parti e certo la Sicilia, quando si siede al tavolo delle trattative con lo Stato, in forza del proprio statuto non può avere le stesse prerogative di una regione ordinaria; ma invece accade tutto il contrario. Si potrebbe dibattere a lungo sulla genesi di queste logiche «romane», ma oggi le fiamme della più grave recessione forse mai subita dai tempi dell'Autonomia regionale, lambiscono le nostre schiene e non sembra tanto il caso di andare per il sottile. I parlamentari nazionali potrebbero chiedere al Parlamento di escludere dal patto di stabilità i fondi europei anche per la quota statale e regionale, a patto (stavolta è il caso di dirlo!) che gli stessi fondi siano destinati realmente agli investimenti e non diventino ancora spese correnti camuffate da investimenti.

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