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Inizia la scuola con i suoi mali cronici

di GIUSEPPE SAVAGNONE

Comincia, anche in Sicilia, l'anno scolastico. E non certo in un clima di entusiasmo. Piuttosto che sull'onda di una «riforma epocale», che avrebbe dovuto rendere la nostra scuola finalmente moderna e adeguata ai bisogni del Paese, secondo le dichiarazioni del ministro Gelmini, la navigazione riprende nelle acque tempestose delle riduzioni di organici e degli accorpamenti di scuole e di classi dovuti ai tagli già decisi nel 2008 dal governo. Non c'è da stupirsi se in molti operatori scolastici, così come in molti studenti e molte famiglie, si registra, già in questo inizio, un senso di rassegnata frustrazione, più che di gioiosa attesa. Né bastano iniziative, peraltro molto discusse, come quella di valorizzare sempre di più l'uso dei test elaborati dall'Invalsi - destinati in prospettiva, sembra, a sostituire la terza prova degli esami di Stato - a dare un segnale di autentico rinnovamento, sia per la problematicità del mezzo scelto, sia perché in ogni caso esso non può contribuire in modo sostanziale a risolvere le difficoltà di fondo del sistema dell'istruzione.
Anche perché, bisogna pur riconoscerlo, queste difficoltà sono così profonde e radicate che non sarebbe giusto attribuire solo alla Gelmini la responsabilità del loro permanere. Sta di fatto che, quali che siano i limiti suoi e della sua politica, nessun ministro prima di lei aveva potuto risolverle. E allora, davvero per la scuola italiana non c'è speranza?
Forse, prima di rispondere a questo interrogativo, dovremmo chiederci che cosa, ormai da molti anni a questa parte, determina la crisi della nostra scuola. I fattori strutturali hanno certamente un peso enorme. Ma bastano a spiegare la crescente demotivazione di tanti docenti (non di tutti, per fortuna!), l'indifferenza delle famiglie (che non si recano neppure a votare per eleggere i loro rappresentanti negli organi collegiali), la frequente desertificazione delle assemblee studentesche, trasformate spesso in pura e semplice occasione di vacanza?
E la stessa tendenza a scaricare tutte le colpe sul ministro di turno - anche i predecessori della Gelmini venivano sistematicamente crocifissi - non rischia di essere un modo di eludere un problema forse ancora più profondo di quello giuridico-istituzionale? A volte, guardando all'atteggiamento di certi protagonisti del mondo della scuola, viene in mente la famosa pièce teatrale di Samuel Becket intitolata Aspettando Godot. Vi si rappresenta l'interminabile attesa di due balordi che hanno - o credono di avere, questo non è mai chiaro - un appuntamento con un fatidico personaggio, appunto Godot (il nome è una francesizzazione dell'inglese God, Dio), da cui si aspettano un aiuto risolutivo, anche se essi stessi sembrano non sapere quale. In realtà, nel corso della rappresentazione, i loro sconclusionati monologhi paralleli, le loro incertezze circa il giorno, l'ora e il luogo dell'appuntamento, evidenziano un profondo malessere e una totale incapacità di orientarsi autonomamente. E quando arriva un ragazzo per avvertire che neanche stavolta Godot verrà, uno dei due dice all'altro: «Andiamo», ma la didascalia finale avverte: «E restano fermi».
Qualcosa di simile si respira, a volte, nella scuola italiana, che aspetta da troppi anni il suo Godot. Forse, ferma restando la necessità di lottare per avere una normativa migliore e dei finanziamenti adeguati, è ora che la scuola si svegli e si muova a partire dalle proprie immense risorse umane. Ciò che nessuna riforma strutturale potrà mai fare è di restituirle un'anima. Ma è quella che si è persa e che bisogna assolutamente recuperare. Nei nostri istituti scolastici l'offerta formativa si è allargata a dismisura. I progetti si sono moltiplicati. Viaggi, corsi di restauro, di scherma, di cucina: non c'è più desiderio che non possa essere soddisfatto. I mezzi di cui le scuole dispongono sono sempre più sofisticati. Quello che manca sono i fini. Manca, cioè, un orizzonte di convinzioni e di valori condivisi che possa dare un senso al lavoro scolastico, da parte sia dei ragazzi che degli adulti. Ma senza di questi, i primi restano in balìa delle mode e della crisi etica senza precedenti che la nostra società sta sperimentando, e di cui lo scenario politico è una perfetta rappresentazione, mentre i secondi alla fine non possono non chiedersi perché diamine bruciare la propria vita in cambio di uno stipendio di fame.
È a questo vuoto, a cui nessun ministro, anche migliore di quello attuale, può portare rimedio, che forse bisogna tentare di far fronte, in quest'anno scolastico che comincia con uno sforzo comune di ricerca. Nel clima attuale, che Galimberti nel suo L'ospite inquietante ha definito nichilista, ci sono però tanti germi positivi, tante esigenze rispettabili, tante prospettive che vale la pena di rielaborare in un confronto critico e al tempo stesso costruttivo. La scuola è il luogo ideale per fare questo, a patto di non ridurla a una soffocante macchina burocratica e di restituirle la sua creatività culturale. A queste condizioni, essa può diventare un seminario da cui escano finalmente spinte di rinnovamento per tutta la società.
Per quella italiana, e soprattutto per quella siciliana, che ne ha ancora più urgentemente bisogno. È necessaria più che mai, in Sicilia, la formazione di una nuova classe dirigente, capace di fare fronte ai problemi in base a logiche finalmente diverse da quelle clientelari e familistiche a cui la vecchia ci ha abituati. Ma per questo deve fiorire un nuovo senso della cittadinanza e del bene comune, a cui solo la scuola può educare. E' questo, soprattutto, l'augurio che vorremmo rivolgere per questo inizio d'anno.

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