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La famiglia dell'ambulante suicida: abbiamo bisogno di testimoni

Anche i legali e il coordinamento Giustizia e verità sono convinti che la vicenda del marocchino che si è dato fuoco non sia un caso isolato. Fra tre giorni un esposto dei familiari arriverà alla Procura

PALERMO. Ancora tre giorni e l’esposto arriverà alla Procura della Repubblica. Giusto il tempo di raccogliere quante più testimonianze possibili per dimostrare che «quello che è accaduto a Noureddine Adnane non è un fenomeno isolato». Ne sono convinti i familiari, i legali e i membri del coordinamento Giustizia e verità in memoria del giovane ambulante marocchino che si è dato fuoco davanti una pattuglia dei vigili urbani ed è poi deceduto lo scorso 19 febbraio a causa delle ustioni riportate. E ieri lo hanno detto a gran voce, chiedendo a chiunque abbia visto qualcosa di aiutarli «a ricostruire quello che è successo a Noreuddine per fare luce sull' intera vicenda. Abbiamo bisogno – hanno detto gli avvocati Giorgio Bisagna e Daniele Papa, nel corso di una conferenza stampa a cui ha preso parte anche la moglie del giovane Atika Tahiri, arrivata in città con la piccola figlia – di persone disposte a mettere nero su bianco la propria testimonianza, per capire che è successo nei giorni e nei mesi scorsi a Palermo». «Diverse persone ci hanno confermato di avere subito maltrattamenti e curiosi sequestri ad opera di alcuni vigili che gettano ingiustamente un’ombra sull’operato dell’intero corpo di polizia – ha sottolineato Zaher Darwish, responsabile immigrati per la Cgil –. Con la nostra ricerca della verità vogliamo fare sì che il gesto di Noureddine sia di monito a tutti, ma anche ricucire il rapporto tra la cittadinanza e le istituzioni». Proprio in questo senso, il coordinamento ha chiesto all’assessorato alle Attività produttive di modificare alcune parti del regolamento come, ad esempio, l’ordinanza che stabilisce la sosta massimo di un’ora nello stesso punto per un venditore ambulante.
Intanto, si concluderà il 14 marzo la campagna di sottoscrizione avviata dal Ciss per la costituzione di un fondo di solidarietà da destinare alla famiglia: sono stati raccolti circa 20 mila euro. «Non riesco ancora a credere che mio marito sia morto. Non mi spiego cosa è successo e perchè – ha detto in arabo Atika Tahiri, per cui il consolato del Marocco si è impegnato a richiedere un permesso di soggiorno –. Adesso devo pensare al futuro della mia bambina».

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