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Berlusconi e la Consulta, ma dov’è la stabilità?

La sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento non cambia tutte le regole del gioco. Si limita a bocciare l’automatismo della valutazione sugli impegni di governo del premier che viene affidata alla discrezione del giudice. La sentenza segue la logica del bilanciamento fra l’esigenza dell’imputato di essere presente nelle udienze e quella dei giudici di celebrare il processo.
Il futuro del governo, e quindi della legislatura, non risulta immediatamente minacciato. O almeno non più di quanto non lo fosse due giorni fa. Ovviamente la decisione non è priva di conseguenze. Inevitabilmente porterà ad un inasprimento del conflitto fra politica e magistratura. Non è una novità ma certamente il Paese non ne sentiva il bisogno. Già il clima è abbastanza pesante. Renderlo ancora più affannato non aiuterà certo a migliorare le cose. Tutto questo non depone a favore della Corte costituzionale. Ci aspettavamo decisioni in grado di dirimere il conflitto. Quella di ieri, invece, lo perpetua. Forse la Corte è condizionata dalle tensioni contrapposte e ha voluto dare una soluzione di mediazione. In questo modo, però, snatura i suoi compiti.
Ma andiamo alle questioni di sostanza. C'è da affrontare una delicata situazione economica. La ripresa è solo agli albori. Occorrono interventi impegnativi per consolidarla. C'è il piano per il Sud da attuare. I conti pubblici da tenere strettamente sotto controllo. Un ventaglio di problemi che meritano una incisiva iniziativa di governo.
In questo senso le prossime ore appaiono decisive. Le scelte che verranno fatte dai protagonisti della partita ci diranno quali sono le prospettive cui va incontro il Paese. Esaltare i conflitti è inutile. Perché non ci sono soluzioni intermedie. Un governicchio che tiri a campare per i prossimi due anni non serve a nessuno. Non alla maggioranza, non alle istituzioni e nemmeno al Paese. Se questo fosse lo scenario allora è meglio andare a votare. Il Paese può anche sopportare due mesi di vuoto di potere. Meglio che un'agonia di due anni.
Il problema è un altro. Siamo proprio sicuri che il risultato delle urne offrirebbe un quadro di autentica stabilità? Il dubbio è forte. L'attuale legge elettorale non ha dato grandi risultati. La precedente legislatura è durata meno di due anni. L'attuale, se dovesse interrompersi nelle prossime settimane, sarebbe stata solo di poco più lunga. Ecco perché è opportuno che si apra una fase di riflessione. In questo quadro, il governo deve trovare in Parlamento una maggioranza che abbia i numeri per consentirgli una navigazione certa. Sullo sfondo un’altra incognita. Che fine farà il referendum sul legittimo impedimento che la Consulta ha dichiarato ammissibile due giorni fa. La sentenza di ieri lo supera o no? Anche su questo tema occorrerà riflettere. Ancora di più serve uno sforzo di conciliazione che renda il clima meno rovente. Altrimenti c'è il rischio di degenerazioni tutt’altro che desiderabili. Messo alle corde Berlusconi potrebbe essere tentato di usare quel voto come un referendum su se stesso. Il premier, in situazioni così estreme, ha sempre trionfato. E anche su questo gli avversari farebbero bene a riflettere.
In ogni caso, ieri come oggi, la prospettiva politica dopo questa sentenza dipende dai buoni numeri che Berlusconi riuscirà a trovare in Parlamento entro fine mese. Il premier appare seriamente impegnato nell’impresa. Lo dimostra anche la cautela manifestata dopo la sentenza di ieri. Nessun commento a caldo e pausa di riflessione fino a oggi. Capisce bene che la partita è difficile e nessuna mossa può essere affidata ai nervi. C’è da capirlo. L’interesse del Paese è dalla sua parte.

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