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Palermo, finirono in carcere per doping ai cavalli: ora assolti

L'accusa si basava su un'intercettazione telefonica. I legali degli imputati hanno dimostrato che si trattava di medicine usate per curare gli animali

PALERMO. Finirono in carcere e poi sotto processo con l'accusa di avere fatto parte di una banda che dopava i cavalli per assicurarsi la vittoria delle gare. Dopo sei anni, sono stati tutti assolti. Protagonisti della vicenda un noto fantino palermitano, anche allevatore, Biagio Lo Verde, un suo dipendente, Salvatore D'Aluisi, il veterinario Carlo Barnini e Aldo Profeta, proprietario di un deposito di farmaci. Rispondevano di associazione a delinquere finalizzata alla somministrazione di sostanze dopanti.
La vicenda risale al 2004 e parte da un esposto anonimo in cui si denunciavano gare di cavalli truccate, ma nel corso del processo non sono state individuate competizioni "alterate", né alcuna corsa è stata annullata dalla giustizia sportiva. Sugli animali, inoltre, non sono mai state effettuate analisi o prelievi per accertare l'assunzione di sostanze dopanti.
Al centro della banda, secondo l'accusa, ci sarebbe stato Lo Verde. Il veterinario avrebbe somministrato le sostanze acquistate nel deposito di Profeta.
L'inchiesta si basava sostanzialmente su alcune intercettazioni telefoniche in cui si accennava all'uso di farmaci, ma i legali degli imputati hanno dimostrato che si trattava di medicine usate per curare gli animali. Gli imputati, giudicati dalla quinta sezione penale, erano difesi dagli avvocati: Francesco e Andrea Crescimanno, Giuseppe Scozzola, Gioacchino Sbacchi e Giovanni Di Benedetto.

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